L'IMMERSIONE
IN APNEA
( per gentile concessione
del prof. Massimo Malpieri )
Nell'immersione in apnea il
subacqueo può contare soltanto sull'ossigeno presente nel suo organismo (nei
polmoni, nel sangue, nei tessuti) all'inizio dell' "APNEA" (interruzione
volontaria della respirazione).
Durante l'immersione, l'ossigeno gradualmente diminuisce e parallelamente
aumenta l'anidride carbonica prodotta dall'attività metabolica dei vari
tessuti del corpo umano.
Sarà proprio il graduale accumularsi di CO2
nel sangue a stimolare i centri bulbari cerebrali preposti alla
respirazione, che a loro volta stimoleranno nel subacqueo la ripresa della
respirazione attraverso le contrazioni diaframmatiche. Queste contrazioni
del diaframma vanno dunque considerate dal subacqueo come un utilissimo
campanello d'allarme: infatti il nostro organismo non può tollerare tassi
troppo elevati di CO2
(ipercapnia) e tassi troppo bassi di
O2 (ipossia).
Al di sopra (per la CO2
) e al di sotto (per O2
) di questi valori si avrebbe la sincope respiratoria, con
conseguente perdita di coscienza, detta appunto sincope da apnea prolungata.
Il rischio maggiore è attuare, prima dell'apnea, una iperventilazione
(tecnica di respirazione forzata) troppo prolungata. L'iperventilazione può
essere praticata con metodi diversi e tende comunque ad abbassare il tasso
alveolare ed ematico, e di conseguenza di tutto l'organismo, dell'anidride
carbonica.
Il sangue quando lascia i polmoni, anche nella normale respirazione, è
pressoché saturo di
O2
: di conseguenza l'iperventilazione riesce ad aumentare la quantità di
ossigeno a nostra disposizione per l'apnea di pochissimo e sono comunque
sufficienti a questo fine pochi atti respiratori profondi. Continuando l'iperventilazione
sarà solo la CO2
a diminuire, O2
resterà costante.
L'inutilità e soprattutto la pericolosità di un'iperventilazione prolungata
sta dunque nel fatto che, senza riuscire ad aumentare ulteriormente la
durata dell'apnea, ritarda l'insorgere degli stimoli respiratori, riducendo
sensibilmente il tempo che intercorre tra l'inizio delle contrazioni
diaframmatiche e la sincope.
La regola per immergersi in apnea in sicurezza è quella di non compiere più
di 4 /5 atti respiratori profondi ricercando mentalmente la massima
tranquillità psicologica. E' infatti quest'ultimo il fattore di gran lunga
più importante nel determinare la durata dell'apnea. Da non dimenticare,
inoltre, di avere sempre un compagno che veglia sul nostro operato:
da questo ultimo aspetto può dipendere la nostra vita, che per non deve mai
essere posta nelle condizioni di pericolo.
In primo
luogo cos'è l'apnea.
L'apnea è la sospensione degli atti respiratori. Nel caso del subacqueo
l'apnea è volontaria cioè determinata dalla volontà del soggetto. Durante la
sospensione del respiro, il sangue continua a circolare attraverso i polmoni
eliminando CO2 e togliendo ossigeno all'aria alveolare.
Ad un certo punto però il CO2 è salito notevolmente di
concentrazione nell'aria alveolare per cui non ne è più possibile
l'eliminazione e questo gas comincia ad accumularsi nel sangue.
Contemporaneamente l'ossigeno continua a diminuire.
L'organismo non tollera a lungo queste variazioni sia di O2 che
di CO2 e reagisce con segni d'intolleranza quali il desiderio
impellente di respirare e frequenti contrazioni del diaframma. Ignorando
volutamente questi segni, in breve tempo si manifesta la sincope.
La sincope è la perdita della coscienza con arresto repentino della
respirazione ed, a volte, anche del battito cardiaco.
Ogni subacqueo, prima di un'immersione in apnea effettua l'iperventilazione
preventiva: essa consiste in una respirazione profonda e controllata che
dura per un certo tempo. L'iperventilazione preventiva determina non tanto
un aumento della quantità di ossigeno quanto una notevole diminuzione di C02.
Aumentando O2 nell'aria alveolare dal 13 al 18% e diminuendo dal
5,5% all'1,2% la concentrazione di CO2, si allunga notevolmente
il limite di insorgenza degli stimoli fisiologici all'interruzione
dell'apnea. Questi stimoli sono determinati in gran parte dall'azione del CO2
sui centri nervosi sensibili del seno carotideo che stimola il centro
respiratorio ad interrompere l'apnea.
Nella discesa in profondità, la pressione dell'acqua agisce su tutta la
superficie corporea e determina la riduzione di volume di tutte le cavità
deformabili contenenti gas, prima fra tutti la cavità toracica. Questa
cavità può ridursi notevolmente con l'innalzamento del diaframma e
l'abbassamento costale.
I record di profondità in apnea hanno smentito molte delle teorie formulate
circa i limiti di profondità raggiungibili, per cui oggi è azzardato
formulare ipotesi su questo argomento.
L'effetto dell'aumentata pressione si fa sentire anche sugli scambi gassosi
tra polmoni, sangue e viceversa.
Si deve dire in primo luogo che alla pressione atmosferica il 98%
dell'emoglobina è saturato: ciò significa che, nell'immersione in apnea,
l'aumento di pressione non determina che un modestissimo aumento della
quantità di ossigeno trasportabile dal sangue nell'unità di tempo.
In secondo luogo è da tener presente che il fattore determinante, il
passaggio dell'O2 alveolare al sangue è la differenza tra
pressione parziale dell'O2 alveolare e la pressione parziale O2
del sangue.
Qual è allora l'effetto dell'aumentata pressione ambiente sugli scambi
respiratori se il sangue non può portare con sè più di una certa quantità di
O2 che è quasi massima già in superficie?
L'aumento di pressione ambiente si traduce in un aumento della pressione
parziale di O2. La pressione parziale di O2 è quella
che ne determina il passaggio dall'aria alveolare al sangue. Se il sangue
non può aumentare la quantità trasportata, l'aumento di pressione parziale
di O2 non potrà che consentire il mantenimento della saturazione
di ossigeno del sangue per un periodo più lungo. In definitiva, tutto ciò si
converte in un prolungamento del tempo in apnea. In parole povere, in
profondità l'apnea dura più a lungo.
Questo
vantaggio però nasconde un pericolo mortale.
Se il nostro subacqueo, infatti, attende in profondità il manifestarsi
impellente del desiderio di respirare, la pressione parziale di O2
nei suoi polmoni sarà vicina al minimo indispensabile a mantenere la vita
(il limite minimo non è stato ancora raggiunto perché il centro respiratorio
è molto più sensibile all'aumento del CO2 che alla diminuzione
dell'O2, la diminuzione di pressione dovuta alla risalita farà
scendere ulteriormente il suo valore, scatenando la crisi sincopale per
mancanza di ossigeno a livello cerebrale.
Di solito la sincope colpisce negli ultimi metri o in superficie al primo
atto respiratorio. Infatti l'espirazione abbassa ulteriormente la tensione
di O2 compromettendo un equilibrio già compromesso.
Facciamo un esempio numerico per spiegarci meglio:
Il nostro subacqueo ha effettuato un'adeguata iperventilazione preventiva
facendo scendere il CO2 dal 5,5% all'l,2%.
L'O2 alveolare è salito dal 13 al 18% con circa PpO2
di 171 mbar.
Ora s'immerge e scende a -15 m di profondità;
la PpO2
sale da 171 mbar a 171x 2,5 = 423 mbar
(2,5 = 1 bar + 1,5 bar dovute
ai 15 m d'acqua).
Dopo un certo tempo il CO2
ha raggiunto livelli tali da stimolare i riflessi per l'interruzione
d'apnea.
La PpO2 alveolare è ancora 133 mbar più che
sufficiente ai fini vitali, ma siamo a -15 m. (La press. parziale dell' O2
è scesa da 423 a 133 mbar perché l'ossigeno viene consumato in continuazione
per mantenere la vita).
Il sub risale. Appena emerso è colto da sincope; infatti la PpO2
è scesa a 53 mbar insufficiente all'ossigenazione cerebrale:
PpO2
133 mbar : 2,5 = 53 mbar
La violenta inspirazione, d'altro canto, stimola le determinazioni nervose
disseminate sulla pleura e nell'apparato respiratorio provocando
l'inibizione riflessa del centro respiratorio. L'inibizione riflessa sommata
all'anossia (Anossia = mancanza di O2 nel sangue), determinano la
sincope. Perciò non si devono mai attendere in profondità i segni
dell'impellente necessità di interrompere la apnea e, giunti in superficie,
non respirare mai con violenza.
Terapia: respirazione artificiale.
QUESITI
MEDICI - APNEA
Domanda:
Come si manifesta la sincope da apneista,( arresto respiratorio, arresto
cardiaco, ...) e come intervenire su un caso di sincope.
Risposta:
Per
definizione "sincope" è un termine che significa arresto cardiorespiratorio.
Se si tratta di sincope da apnea prolungata (sia da ipercapnia che da
ipossia in risalita), la manifestazione iniziale è arresto respiratorio
seguito rapidamente da arresto cardiaco. In questi casi non c'è annegamento
(invasione d'acqua nelle vie respiratorie).
In altri e più rari casi ci può essere un intervallo maggiore fra l'arresto
respiratorio e l'arresto cardiaco ed il quadro è più simile a quello del
pre-annegamento.
In tutti i casi l'intervento di primo intervento è lo stesso:
Controllo ABC e sostenimento delle funzioni vitali con CPR
secondo necessità. La somministrazione di ossigeno è essenziale, anche
durante le fasi di CPR.
Non essendo possibile, sul campo, distinguere fra una sincope vera e propria
ed un quadro di pre-annegamento è sempre indispensabile il trasporto
immediato presso una struttura sanitaria per gli accertamenti e le cure del
caso.
Domanda:
Pelizzari raccomanda tempi di espirazione doppi dell’inspirazione. Così
facendo non si espelle troppa CO2, con effetto simile all’iperventilazione?
Risposta:
L’iperventilazione
forzata e prolungata è cosa diversa dalla espirazione più lenta
dell’inspirazione. Il rapporto 1:2 fra tempi di inspirazione ed espirazione,
consigliato da Pelizzari, è molto vicino a quello della ventilazione
spontanea. L’espirazione lenta previene il raggiungimento del "volume di
chiusura" (una sorta di spasmo da ipervelocità del flusso aereo, che
impedisce il corretto e completo svuotamento) e garantisce un buon ricambio
di gas. Naturalmente, qualsiasi tipo di ventilazione spinta, se
sufficientemente prolungata, porterebbe ad un eccessivo abbassamento della
CO2, con i ben noti rischi. Il punto è quanto far durante la ventilazione (o
iperventilazione) pre-apnea e quanto "spingere" l’espirazione allo
"spasimo".
IPERVENTILAZIONE E SINCOPE
L'immersione in apnea è il
tipo di attività subacquea maggiormente praticata nel nostro paese. Infatti,
assieme al gran numero di persone che praticano la caccia subacquea in apnea
troviamo coloro che per diletto vanno a curiosare sotto la superficie del
mare senza far ricorso all'ARA. Naturalmente, anche per il neofita, il primo
approccio con l'idrospazio avviene in apnea, anche se si tratta della
variante più rischiosa dell'immersione subacquea. Sappiamo infatti che la
sincope rimane, purtroppo, il pericolo, maggiore nella pratica dell'apnea.
In una statistica, elaborata
sui dati relativi all'anno 1987, lo M.D.S.A., associazione di medici
subacquei, ha evidenziato che il 94% delle morti durante immersione
subacquea avviene per sincope anossica. Tali dati del resto coincidono con
quelli presentati dal prof. Mauro Ficini nel 1978 al 2° congresso della
Società Italiana di Medicina Subacquea ed lperbarica. In tale occasione fu
addirittura dimostrato, dall'associazione "Stefano Cocchi", come il rapporto
tra eventi mortali o di estrema gravità, tra incidenti con ARA e in apnea,
sia in favore di quest'ultima in misura di 1 a 52: cioè a dire che per ogni
incidente con autorespiratore se ne verificano 52 in apnea. Sempre nella
comunicazione del prof. Ficini si cita una statistica americana in cui la
presenza dell'uomo in acqua occupa il 1° posto, come rischio, rispetto ai
traumi della strada, in funzione dei tempi di permanenza.
A distanza di tanti anni le statistiche non si sono modificate di molto, nel
senso che, in base al numero di praticanti (in continuo aumento) e al
perfezionamento delle didattiche, gli incidenti sono aumentati invece di
diminuire.
Il termine apnea in Medicina significa arresto dei movimenti respiratori;
tale arresto è in genere involontario, di carattere riflesso, conseguente a
stimoli meccanici, chimico-farmacologici e neuropsichici che possono agire
sia a livello delle vie respiratorie (ostacolo meccanico alla respirazione)
sia a livello dei centri nervosi che controllano la respirazione
(depressione respiratoria di tipo centrale).
Nel gergo subacqueo, al contrario, quando si parla di apnea ci si riferisce
ad un atto volontario mediante il quale il sub smette di respirare per un
periodo di tempo la cui durata è legata alle riserve di Ossigeno e al
quantitativo di Anidride Carbonica che viene prodotta nel corso
dell'immersione.
La volontarietà dell'atto termina nel momento in cui i livelli dei due gas
avranno raggiunto valori tali da stimolare chimicamente i centri nervosi del
respiro. E' ovvio che la durata dell'apnea è influenzata da alcune variabili
individuali come la capacità polmonare, il consumo di ossigeno e
l'adattamento ambientale.
In ogni caso il tempo di permanenza sott'acqua è sempre molto limitato per
la facilità con cui si raggiunge il "breack-point" dell'apnea.
Il metodo che consente di allontanare nel tempo la comparsa dello stimolo
respiratorio e di prolungare, quindi, la permanenza sul fondo prende il nome
di iperventilazione. Tale metodica di respirazione si basa sull'esecuzione
di una serie di atti respiratori lenti e prolungati mediante i quali,
favorendo la fase espiratoria, si ottiene un "washing out" (lavaggio)
ematico e polmonare a cui consegue una notevole diminuzione delle
percentuali di Anidride Carbonica (CO2) ed un lievissimo
incremento (meno dei 25%) della pressione parziale dell'Ossigeno (O2),
oltre all'allontanamento di una parte del sangue intrapolmonare che
consentirà, con l'ultimo atto respiratorio, di aumentare il volume di
riempimento gassoso polmonare.
E' chiaro che per riportare i valori della CO2 a livelli tali da
stimolare i centri del respiro l'organismo impiegherà un tempo più lungo,
sufficiente a ritardare di svariate decine di secondi (fino a 120) la
comparsa del punto di rottura dell'apnea. Contemporaneamente, però, l' O2
viene consumato per i normali processi vitali e l'organismo viene presto a
trovarsi in una situazione di ipossia che si protrae fino alla riemersione.
Se la permanenza sul fondo si protrae oltre i limiti del punto di rottura
dell'apnea, il sommozzatore andrà inevitabilmente incontro a quel pericoloso
evento che viene comunemente definito sincope anossica da apnea
prolungata.
Per meglio comprendere gli intimi meccanismi che entrano in gioco nel
provocare uno stato sincopale in un subacqueo apneista è opportuno
riassumere a quali modificazioni va incontro l'organismo nel corso
dell'immersione.
Quando un individuo si immerge, anche se mantiene la testa fuori dall'acqua
e continua a respirare, subisce delle modificazioni, o meglio, degli
aggiustamenti cardiovascolari noti con il nome di riflesso d'immersione o
"diving reflex".
La circolazione dei sangue si modifica quantitativamente a causa della
comparsa di bradicardia (diminuzione del ritmo cardiaco) e vasocostrizione
periferica (diminuzione del calibro arterioso principalmente alle
estremità), quest'ultima interessa inizialmente il distretto circolatorio
periferico superficiale e successivamente, per effetto dello stress termico,
la muscolatura.
Se poi all'immersione si accompagna la sospensione dell'attività
respiratoria, s'instaurerà una ulteriore diminuzione della frequenza
cardiaca (bradicardia) e della portata ematica del cuore.
Diversi studi hanno dimostrato una relazione direttamente proporzionale tra
la temperatura dell'acqua e la frequenza cardiaca. Si è visto che è
sufficiente che la cute del viso entri in contatto con l'acqua fredda,
indipendentemente dal fatto che il sub sia in Apnea o no, per provocare una
diminuzione graduale della frequenza cardiaca. Tale evento si verifica in
conseguenza della stimolazione dei recettori cutanei del nervo trigemino
presenti nella regione frontale, nelle zone periorbitarie e sulle regioni
zigomatiche.
La finalità degli eventi descritti è quella di ridurre marcatamente il
consumo di O2 in alcuni distretti del corpo a favore delle
richieste metaboliche cerebrali e cardiache (riflesso di conservazione
dell'ossigeno).
Con l'aumento della pressione idrostatica interverranno poi ulteriori
modificazioni a carico della circolazione per una sorta di ridistribuzione
della massa ematica nel circolo polmonare e negli organi endotoracici: il
blood-shift. Per controbilanciare l'incremento della pressione sul torace il
sangue si "accumula" nei polmoni grazie ad una "aspirazione " dai territori
periferici. Tale fenomeno accentuerà ulteriormente la bradicardia e porterà
ad un aumento della gettata cardiaca.
ADATTAMENTI
CARDIOVASCOLARI ALL'IMMERSIONE:
DIVING REFLEX: Bradicardia
aumento portata cardiaca - Aumento pressione arteriosa ·- - Vasocostrizione
periferica
BLOOD SHIFT: centralizzazione
della circolazione con vasocostrizione periferica per favorire il
rifornimento di O2 e il metabolismo nei territori cerebrali e
cardiaci. Il rallentamento della frequenza, sé da una parte provoca un
notevole risparmio di O2, dall'altra espone il subacqueo al
rischio di una sincope aritmica o da scarsa perfusione cerebrale.
E' evidente, da quanto finora esposto, che maggiore sarà il tempo di
permanenza in immersione e maggiori saranno i rischi che il subacqueo corre.
Ciò che caratterizza l'evento sincopale nell'immersione in apnea è la
mancanza di O2 alle cellule nervose.
Si parla infatti oggi di sincope anossica proprio per indicare quella
situazione in cui processi metabolici cerebrali vengono a mancare per
deficit energetico, cioè di O2.
Al contrario non si ritiene più valida la definizione di sincope ipercapnica,
in quanto l'aumento della CO2, oltre ad essere inevitabile, fa
parte delle manifestazioni consequenziali nell'evoluzione del quadro
clinico.
Abbiamo visto che gli adattamenti cardiocircolatori sono conseguenza, oltre
che delle variazioni di pressione anche dello stress termico, delle
sollecitazioni apneiche e psichiche.
A carico dei gas respiratori si hanno modificazioni in conseguenza degli
aumenti pressori (legge di Boyle Mariotte) (1):
(1) A temperatura costante il volume di un gas è inversamente proporzionale
alle pressioni cui è sottoposto sia per il variare dei coefficienti di
diffusibilità gas/sangue durante le varie fasi dell'immersione. Infatti al
termine dell'iperventilazione il subacqueo presenterà, nel suo organismo,
dei valori di CO2 molto bassi (15 mmHg) e valori di O2
lievemente più alti, comunque tali da consentire un notevole miglioramento
dell'ossigenazione ai tessuti. Nel corso della discesa verso il fondo, poi,
per effetto della legge di Boyle i gas intrapolmonari vengono compressi e la
loro pressione parziale aumenta proporzionalmente con la profondità
raggiunta.
Per effetto della legge di
Henry(2):
(2) Un gas si diffonde in un liquido e/o in tessuto in maniera direttamente
proporzionale alla pressione che lo stesso gas esercita sulla superficie del
liquido e/o del tessuto. la compressione dei gas intrapolmonari sarà seguita
da un aumento della loro diffusibilità nei compartimenti a concentrazione
minore.
Così l'Ossigeno, oltre ad essere legato all'Emoglobina sarà presente nel
sangue in forma libera e raggiungerà i tessuti con maggiore facilità
(principio su cui si basa la ossigenoterapia iperbarica), dando al subacqueo
una sensazione di operatività ottimale e di possibilità di permanenza sul
fondo quasi illimitata.
Contemporaneamente l'Anidride Carbonica avrà dei valori molto bassi per
effetto della iperventilazione, che ha provocato una vera e propria
decarbonizzazione del sangue arterioso. La permanenza sul fondo poi porterà
ad una diminuzione, da consumo, dell'Ossigeno.
A questo punto si possono
verificare due evenienze:
-
L'aumento
della pressione parziale dell'anidride carbonica precede quello
dell'ossigeno. In questo caso il subacqueo raggiunge il "break-point"
dell'Anidride Carbonica prima che l'Ossigeno scenda a valori critici,
avverte le contrazioni diaframmatiche (provocate dall'aumento della CO2)
e comincia la risalita. Nel corso dell'emersione la diminuzione della
pressione si ripercuoterà sulle pressioni parziali dei gas del sangue,
provocando la caduta dei valori dell'Ossigeno, che, inoltre, va incontro
ad ulteriore consumo per il lavoro muscolare che il sub effettua per
raggiungere la superficie. Così, a pochi metri dalla superficie, la
concentrazione di ossigeno nel sangue raggiungerà valori talmente bassi da
provocare la perdita di coscienza del sub per anossia cerebrale (sincope
in risalita).
-
La
deficienza d'Ossigeno interviene prima dell'aumento dell'Anidride
Carbonica ("break-point" dell' O2). In questo caso il deficit
quantitativo e qualitativo dell'ossigenazione cerebrale avrà come
conseguenza una diminuzione della eccitabilità delle cellule nervose, a
cui seguirà una brusca perdita di conoscenza senza alcun sintomo
premonitore. Proprio per la mancanza di un campanello d'allarme, come le
contrazioni diaframmatiche, la perdita di coscienza avviene quasi sempre
mentre il sub è ancora sul fondo.
Va comunque sottolineato
come, indipendentemente dalle definizioni (sincope in risalita, da apnea
prolungata, "rendez-vous" dei sette metri etc.), il momento scatenante è
sempre rappresentato dall'acuta mancanza di ossigeno nei territori cerebrali.
Infatti, il tessuto nervoso - dal punto di vista metabolico - ha
un'autonomia limitata, per cui, se la portata ematica diminuisce
drasticamente o vi è un deficit di ossigenazione, si andrà incontro,
inevitabilmente, ad una perdita transitoria o duratura dello stato di
coscienza. Se il recupero dell'infortunato non è immediato si verificherà,
successivamente, un'inondazione di acqua nei polmoni, che comprometterà
ulteriormente le capacità di ripresa del subacqueo. Al contrario, un
soccorso immediato, una volta riportato il sub in superficie, consente quasi
sempre una valida ripresa dell'attività cordiorespiratoria senza alcuna
conseguenza.
(continua.....)
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