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sincope da apnea prolungata
04-01-15

©  CEDIFOP 2004 tutti i diritti riservati

 

L'IMMERSIONE IN APNEA

( per gentile concessione del prof. Massimo Malpieri )

 

Nell'immersione in apnea il subacqueo può contare soltanto sull'ossigeno presente nel suo organismo (nei polmoni, nel sangue, nei tessuti) all'inizio dell' "APNEA" (interruzione volontaria della respirazione).
Durante l'immersione, l'ossigeno gradualmente diminuisce e parallelamente aumenta l'anidride carbonica prodotta dall'attività metabolica dei vari tessuti del corpo umano.
Sarà proprio il graduale accumularsi di C
O2 nel sangue a stimolare i centri bulbari cerebrali preposti alla respirazione, che a loro volta stimoleranno nel subacqueo la ripresa della respirazione attraverso le contrazioni diaframmatiche. Queste contrazioni del diaframma vanno dunque considerate dal subacqueo come un utilissimo campanello d'allarme: infatti il nostro organismo non può tollerare tassi troppo elevati di CO2 (ipercapnia) e tassi troppo bassi di O2 (ipossia). Al di sopra (per la CO2 ) e al di sotto (per O2 ) di questi valori si avrebbe la sincope respiratoria, con conseguente perdita di coscienza, detta appunto sincope da apnea prolungata.
Il rischio maggiore è attuare, prima dell'apnea, una iperventilazione (tecnica di respirazione forzata) troppo prolungata. L'iperventilazione può essere praticata con metodi diversi e tende comunque ad abbassare il tasso alveolare ed ematico, e di conseguenza di tutto l'organismo, dell'anidride carbonica.
Il sangue quando lascia i polmoni, anche nella normale respirazione, è pressoché saturo di
O2 : di conseguenza l'iperventilazione riesce ad aumentare la quantità di ossigeno a nostra disposizione per l'apnea di pochissimo e sono comunque sufficienti a questo fine pochi atti respiratori profondi. Continuando l'iperventilazione sarà solo la CO2 a diminuire, O2 resterà costante.
L'inutilità e soprattutto la pericolosità di un'iperventilazione prolungata sta dunque nel fatto che, senza riuscire ad aumentare ulteriormente la durata dell'apnea, ritarda l'insorgere degli stimoli respiratori, riducendo sensibilmente il tempo che intercorre tra l'inizio delle contrazioni diaframmatiche e la sincope.
La regola per immergersi in apnea in sicurezza è quella di non compiere più di 4 /5 atti respiratori profondi ricercando mentalmente la massima tranquillità psicologica. E' infatti quest'ultimo il fattore di gran lunga più importante nel determinare la durata dell'apnea. Da non dimenticare, inoltre, di avere sempre un compagno che veglia sul nostro operato: da questo ultimo aspetto può dipendere la nostra vita, che per  non deve mai essere posta nelle condizioni di pericolo.

 

In primo luogo cos'è l'apnea.


L'apnea è la sospensione degli atti respiratori. Nel caso del subacqueo l'apnea è volontaria cioè determinata dalla volontà del soggetto. Durante la sospensione del respiro, il sangue continua a circolare attraverso i polmoni eliminando CO2 e togliendo ossigeno all'aria alveolare.
Ad un certo punto però il CO2 è salito notevolmente di concentrazione nell'aria alveolare per cui non ne è più possibile l'eliminazione e questo gas comincia ad accumularsi nel sangue. Contemporaneamente l'ossigeno continua a diminuire.
L'organismo non tollera a lungo queste variazioni sia di O2 che di CO2 e reagisce con segni d'intolleranza quali il desiderio impellente di respirare e frequenti contrazioni del diaframma. Ignorando volutamente questi segni, in breve tempo si manifesta la sincope.
La sincope è la perdita della coscienza con arresto repentino della respirazione ed, a volte, anche del battito cardiaco.
Ogni subacqueo, prima di un'immersione in apnea effettua l'iperventilazione preventiva: essa consiste in una respirazione profonda e controllata che dura per un certo tempo. L'iperventilazione preventiva determina non tanto un aumento della quantità di ossigeno quanto una notevole diminuzione di C02. Aumentando O2 nell'aria alveolare dal 13 al 18% e diminuendo dal 5,5% all'1,2% la concentrazione di CO2, si allunga notevolmente il limite di insorgenza degli stimoli fisiologici all'interruzione dell'apnea. Questi stimoli sono determinati in gran parte dall'azione del CO2 sui centri nervosi sensibili del seno carotideo che stimola il centro respiratorio ad interrompere l'apnea.
Nella discesa in profondità, la pressione dell'acqua agisce su tutta la superficie corporea e determina la riduzione di volume di tutte le cavità deformabili contenenti gas, prima fra tutti la cavità toracica. Questa cavità può ridursi notevolmente con l'innalzamento del diaframma e l'abbassamento costale.
I record di profondità in apnea hanno smentito molte delle teorie formulate circa i limiti di profondità raggiungibili, per cui oggi è azzardato formulare ipotesi su questo argomento.
L'effetto dell'aumentata pressione si fa sentire anche sugli scambi gassosi tra polmoni, sangue e viceversa.
Si deve dire in primo luogo che alla pressione atmosferica il 98% dell'emoglobina è saturato: ciò significa che, nell'immersione in apnea, l'aumento di pressione non determina che un modestissimo aumento della quantità di ossigeno trasportabile dal sangue nell'unità di tempo.
In secondo luogo è da tener presente che il fattore determinante, il passaggio dell'O2 alveolare al sangue è la differenza tra pressione parziale dell'O2 alveolare e la pressione parziale O2 del sangue.
Qual è allora l'effetto dell'aumentata pressione ambiente sugli scambi respiratori se il sangue non può portare con sè più di una certa quantità di O2 che è quasi massima già in superficie?
L'aumento di pressione ambiente si traduce in un aumento della pressione parziale di O2. La pressione parziale di O2 è quella che ne determina il passaggio dall'aria alveolare al sangue. Se il sangue non può aumentare la quantità trasportata, l'aumento di pressione parziale di O2 non potrà che consentire il mantenimento della saturazione di ossigeno del sangue per un periodo più lungo. In definitiva, tutto ciò si converte in un prolungamento del tempo in apnea. In parole povere, in profondità l'apnea dura più a lungo.

 

Questo vantaggio però nasconde un pericolo mortale.


Se il nostro subacqueo, infatti, attende in profondità il manifestarsi impellente del desiderio di respirare, la pressione parziale di O2 nei suoi polmoni sarà vicina al minimo indispensabile a mantenere la vita (il limite minimo non è stato ancora raggiunto perché il centro respiratorio è molto più sensibile all'aumento del CO2 che alla diminuzione dell'O2, la diminuzione di pressione dovuta alla risalita farà scendere ulteriormente il suo valore, scatenando la crisi sincopale per mancanza di ossigeno a livello cerebrale.
Di solito la sincope colpisce negli ultimi metri o in superficie al primo atto respiratorio. Infatti l'espirazione abbassa ulteriormente la tensione di O2 compromettendo un equilibrio già compromesso.
Facciamo un esempio numerico per spiegarci meglio:
Il nostro subacqueo ha effettuato un'adeguata iperventilazione preventiva facendo scendere il CO2 dal 5,5% all'l,2%.
L'O2 alveolare è salito dal 13 al 18% con circa PpO2 di 171 mbar.
Ora s'immerge e scende a -15 m di profondità;

la PpO2 sale da 171 mbar a 171x 2,5 = 423 mbar

(2,5 = 1 bar + 1,5 bar dovute ai 15 m d'acqua).

Dopo un certo tempo il CO2 ha raggiunto livelli tali da stimolare i riflessi per l'interruzione d'apnea.
La PpO2 alveolare è ancora 133 mbar più che sufficiente ai fini vitali, ma siamo a -15 m. (La press. parziale dell' O2 è scesa da 423 a 133 mbar perché l'ossigeno viene consumato in continuazione per mantenere la vita).
Il sub risale. Appena emerso è colto da sincope; infatti la PpO2 è scesa a 53 mbar insufficiente all'ossigenazione cerebrale:

PpO2 133 mbar : 2,5 = 53 mbar


La violenta inspirazione, d'altro canto, stimola le determinazioni nervose disseminate sulla pleura e nell'apparato respiratorio provocando l'inibizione riflessa del centro respiratorio. L'inibizione riflessa sommata all'anossia (Anossia = mancanza di O2 nel sangue), determinano la sincope. Perciò non si devono mai attendere in profondità i segni dell'impellente necessità di interrompere la apnea e, giunti in superficie, non respirare mai con violenza.

 
Terapia: respirazione artificiale.

 

QUESITI MEDICI - APNEA

 Domanda:
Come si manifesta la sincope da apneista,( arresto respiratorio, arresto cardiaco, ...) e come intervenire su un caso di sincope.

Risposta:
Per definizione "sincope" è un termine che significa arresto cardiorespiratorio. Se si tratta di sincope da apnea prolungata (sia da ipercapnia che da ipossia in risalita), la manifestazione iniziale è arresto respiratorio seguito rapidamente da arresto cardiaco. In questi casi non c'è annegamento (invasione d'acqua nelle vie respiratorie).
In altri e più rari casi ci può essere un intervallo maggiore fra l'arresto respiratorio e l'arresto cardiaco ed il quadro è più simile a quello del pre-annegamento.
In tutti i casi l'intervento di primo intervento è lo stesso:

Controllo ABC e sostenimento delle funzioni vitali con CPR secondo necessità. La somministrazione di ossigeno è essenziale, anche durante le fasi di CPR.
Non essendo possibile, sul campo, distinguere fra una sincope vera e propria ed un quadro di pre-annegamento è sempre indispensabile il trasporto immediato presso una struttura sanitaria per gli accertamenti e le cure del caso.

 Domanda:
 Pelizzari raccomanda tempi di espirazione doppi dell’inspirazione. Così facendo non si espelle troppa CO2, con effetto simile all’iperventilazione?

Risposta:
 L’iperventilazione forzata e prolungata è cosa diversa dalla espirazione più lenta dell’inspirazione. Il rapporto 1:2 fra tempi di inspirazione ed espirazione, consigliato da Pelizzari, è molto vicino a quello della ventilazione spontanea. L’espirazione lenta previene il raggiungimento del "volume di chiusura" (una sorta di spasmo da ipervelocità del flusso aereo, che impedisce il corretto e completo svuotamento) e garantisce un buon ricambio di gas. Naturalmente, qualsiasi tipo di ventilazione spinta, se sufficientemente prolungata, porterebbe ad un eccessivo abbassamento della CO2, con i ben noti rischi. Il punto è quanto far durante la ventilazione (o iperventilazione) pre-apnea e quanto "spingere" l’espirazione allo "spasimo".

   
 IPERVENTILAZIONE E SINCOPE  

L'immersione in apnea è il tipo di attività subacquea maggiormente praticata nel nostro paese. Infatti, assieme al gran numero di persone che praticano la caccia subacquea in apnea troviamo coloro che per diletto vanno a curiosare sotto la superficie del mare senza far ricorso all'ARA. Naturalmente, anche per il neofita, il primo approccio con l'idrospazio avviene in apnea, anche se si tratta della variante più rischiosa dell'immersione subacquea. Sappiamo infatti che la sincope rimane, purtroppo, il pericolo, maggiore nella pratica dell'apnea.

In una statistica, elaborata sui dati relativi all'anno 1987, lo M.D.S.A., associazione di medici subacquei, ha evidenziato che il 94% delle morti durante immersione subacquea avviene per sincope anossica. Tali dati del resto coincidono con quelli presentati dal prof. Mauro Ficini nel 1978 al 2° congresso della Società Italiana di Medicina Subacquea ed lperbarica. In tale occasione fu addirittura dimostrato, dall'associazione "Stefano Cocchi", come il rapporto tra eventi mortali o di estrema gravità, tra incidenti con ARA e in apnea, sia in favore di quest'ultima in misura di 1 a 52: cioè a dire che per ogni incidente con autorespiratore se ne verificano 52 in apnea. Sempre nella comunicazione del prof. Ficini si cita una statistica americana in cui la presenza dell'uomo in acqua occupa il 1° posto, come rischio, rispetto ai traumi della strada, in funzione dei tempi di permanenza.
A distanza di tanti anni le statistiche non si sono modificate di molto, nel senso che, in base al numero di praticanti (in continuo aumento) e al perfezionamento delle didattiche, gli incidenti sono aumentati invece di diminuire.
Il termine apnea in Medicina significa arresto dei movimenti respiratori; tale arresto è in genere involontario, di carattere riflesso, conseguente a stimoli meccanici, chimico-farmacologici e neuropsichici che possono agire sia a livello delle vie respiratorie (ostacolo meccanico alla respirazione) sia a livello dei centri nervosi che controllano la respirazione (depressione respiratoria di tipo centrale).
Nel gergo subacqueo, al contrario, quando si parla di apnea ci si riferisce ad un atto volontario mediante il quale il sub smette di respirare per un periodo di tempo la cui durata è legata alle riserve di Ossigeno e al quantitativo di Anidride Carbonica che viene prodotta nel corso dell'immersione.
La volontarietà dell'atto termina nel momento in cui i livelli dei due gas avranno raggiunto valori tali da stimolare chimicamente i centri nervosi del respiro. E' ovvio che la durata dell'apnea è influenzata da alcune variabili individuali come la capacità polmonare, il consumo di ossigeno e l'adattamento ambientale.
In ogni caso il tempo di permanenza sott'acqua è sempre molto limitato per la facilità con cui si raggiunge il "breack-point" dell'apnea.
Il metodo che consente di allontanare nel tempo la comparsa dello stimolo respiratorio e di prolungare, quindi, la permanenza sul fondo prende il nome di iperventilazione. Tale metodica di respirazione si basa sull'esecuzione di una serie di atti respiratori lenti e prolungati mediante i quali, favorendo la fase espiratoria, si ottiene un "washing out" (lavaggio) ematico e polmonare a cui consegue una notevole diminuzione delle percentuali di Anidride Carbonica (CO2) ed un lievissimo incremento (meno dei 25%) della pressione parziale dell'Ossigeno (O2), oltre all'allontanamento di una parte del sangue intrapolmonare che consentirà, con l'ultimo atto respiratorio, di aumentare il volume di riempimento gassoso polmonare.
E' chiaro che per riportare i valori della CO2 a livelli tali da stimolare i centri del respiro l'organismo impiegherà un tempo più lungo, sufficiente a ritardare di svariate decine di secondi (fino a 120) la comparsa del punto di rottura dell'apnea. Contemporaneamente, però, l' O2 viene consumato per i normali processi vitali e l'organismo viene presto a trovarsi in una situazione di ipossia che si protrae fino alla riemersione.
Se la permanenza sul fondo si protrae oltre i limiti del punto di rottura dell'apnea, il sommozzatore andrà inevitabilmente incontro a quel pericoloso evento che viene comunemente definito sincope anossica da apnea prolungata.
Per meglio comprendere gli intimi meccanismi che entrano in gioco nel provocare uno stato sincopale in un subacqueo apneista è opportuno riassumere a quali modificazioni va incontro l'organismo nel corso dell'immersione.
Quando un individuo si immerge, anche se mantiene la testa fuori dall'acqua e continua a respirare, subisce delle modificazioni, o meglio, degli aggiustamenti cardiovascolari noti con il nome di riflesso d'immersione o "diving reflex".
La circolazione dei sangue si modifica quantitativamente a causa della comparsa di bradicardia (diminuzione del ritmo cardiaco) e vasocostrizione periferica (diminuzione del calibro arterioso principalmente alle estremità), quest'ultima interessa inizialmente il distretto circolatorio periferico superficiale e successivamente, per effetto dello stress termico, la muscolatura.
Se poi all'immersione si accompagna la sospensione dell'attività respiratoria, s'instaurerà una ulteriore diminuzione della frequenza cardiaca (bradicardia) e della portata ematica del cuore.
Diversi studi hanno dimostrato una relazione direttamente proporzionale tra la temperatura dell'acqua e la frequenza cardiaca. Si è visto che è sufficiente che la cute del viso entri in contatto con l'acqua fredda, indipendentemente dal fatto che il sub sia in Apnea o no, per provocare una diminuzione graduale della frequenza cardiaca. Tale evento si verifica in conseguenza della stimolazione dei recettori cutanei del nervo trigemino presenti nella regione frontale, nelle zone periorbitarie e sulle regioni zigomatiche.
La finalità degli eventi descritti è quella di ridurre marcatamente il consumo di O2 in alcuni distretti del corpo a favore delle richieste metaboliche cerebrali e cardiache (riflesso di conservazione dell'ossigeno).
Con l'aumento della pressione idrostatica interverranno poi ulteriori modificazioni a carico della circolazione per una sorta di ridistribuzione della massa ematica nel circolo polmonare e negli organi endotoracici: il blood-shift. Per controbilanciare l'incremento della pressione sul torace il sangue si "accumula" nei polmoni grazie ad una "aspirazione " dai territori periferici. Tale fenomeno accentuerà ulteriormente la bradicardia e porterà ad un aumento della gettata cardiaca.

 

ADATTAMENTI CARDIOVASCOLARI ALL'IMMERSIONE:

DIVING REFLEX: Bradicardia  aumento portata cardiaca - Aumento pressione arteriosa ·- - Vasocostrizione periferica

BLOOD SHIFT: centralizzazione della circolazione con vasocostrizione periferica per favorire il rifornimento di O2 e il metabolismo nei territori cerebrali e cardiaci. Il rallentamento della frequenza, sé da una parte provoca un notevole risparmio di O2, dall'altra espone il subacqueo al rischio di una sincope aritmica o da scarsa perfusione cerebrale.
E' evidente, da quanto finora esposto, che maggiore sarà il tempo di permanenza in immersione e maggiori saranno i rischi che il subacqueo corre. Ciò che caratterizza l'evento sincopale nell'immersione in apnea è la mancanza di O2 alle cellule nervose.
Si parla infatti oggi di sincope anossica proprio per indicare quella situazione in cui processi metabolici cerebrali vengono a mancare per deficit energetico, cioè di O2.
Al contrario non si ritiene più valida la definizione di sincope ipercapnica, in quanto l'aumento della CO2, oltre ad essere inevitabile, fa parte delle manifestazioni consequenziali nell'evoluzione del quadro clinico.
Abbiamo visto che gli adattamenti cardiocircolatori sono conseguenza, oltre che delle variazioni di pressione anche dello stress termico, delle sollecitazioni apneiche e psichiche.
A carico dei gas respiratori si hanno modificazioni in conseguenza degli aumenti pressori (legge di Boyle Mariotte) (1):
(1) A temperatura costante il volume di un gas è inversamente proporzionale alle pressioni cui è sottoposto sia per il variare dei coefficienti di diffusibilità gas/sangue durante le varie fasi dell'immersione. Infatti al termine dell'iperventilazione il subacqueo presenterà, nel suo organismo, dei valori di CO2 molto bassi (15 mmHg) e valori di O2 lievemente più alti, comunque tali da consentire un notevole miglioramento dell'ossigenazione ai tessuti. Nel corso della discesa verso il fondo, poi, per effetto della legge di Boyle i gas intrapolmonari vengono compressi e la loro pressione parziale aumenta proporzionalmente con la profondità raggiunta.

Per effetto della legge di Henry(2):
(2) Un gas si diffonde in un liquido e/o in tessuto in maniera direttamente proporzionale alla pressione che lo stesso gas esercita sulla superficie del liquido e/o del tessuto. la compressione dei gas intrapolmonari sarà seguita da un aumento della loro diffusibilità nei compartimenti a concentrazione minore.
Così l'Ossigeno, oltre ad essere legato all'Emoglobina sarà presente nel sangue in forma libera e raggiungerà i tessuti con maggiore facilità (principio su cui si basa la ossigenoterapia iperbarica), dando al subacqueo una sensazione di operatività ottimale e di possibilità di permanenza sul fondo quasi illimitata.
Contemporaneamente l'Anidride Carbonica avrà dei valori molto bassi per effetto della iperventilazione, che ha provocato una vera e propria decarbonizzazione del sangue arterioso. La permanenza sul fondo poi porterà ad una diminuzione, da consumo, dell'Ossigeno.

A questo punto si possono verificare due evenienze:

  1. L'aumento della pressione parziale dell'anidride carbonica precede quello dell'ossigeno. In questo caso il subacqueo raggiunge il "break-point" dell'Anidride Carbonica prima che l'Ossigeno scenda a valori critici, avverte le contrazioni diaframmatiche (provocate dall'aumento della CO2) e comincia la risalita. Nel corso dell'emersione la diminuzione della pressione si ripercuoterà sulle pressioni parziali dei gas del sangue, provocando la caduta dei valori dell'Ossigeno, che, inoltre, va incontro ad ulteriore consumo per il lavoro muscolare che il sub effettua per raggiungere la superficie. Così, a pochi metri dalla superficie, la concentrazione di ossigeno nel sangue raggiungerà valori talmente bassi da provocare la perdita di coscienza del sub per anossia cerebrale (sincope in risalita).
  2. La deficienza d'Ossigeno interviene prima dell'aumento dell'Anidride Carbonica ("break-point" dell' O2). In questo caso il deficit quantitativo e qualitativo dell'ossigenazione cerebrale avrà come conseguenza una diminuzione della eccitabilità delle cellule nervose, a cui seguirà una brusca perdita di conoscenza senza alcun sintomo premonitore. Proprio per la mancanza di un campanello d'allarme, come le contrazioni diaframmatiche, la perdita di coscienza avviene quasi sempre mentre il sub è ancora sul fondo.

Va comunque sottolineato come, indipendentemente dalle definizioni (sincope in risalita, da apnea prolungata, "rendez-vous" dei sette metri etc.), il momento scatenante è sempre rappresentato dall'acuta mancanza di ossigeno nei territori cerebrali.
Infatti, il tessuto nervoso - dal punto di vista metabolico - ha un'autonomia limitata, per cui, se la portata ematica diminuisce drasticamente o vi è un deficit di ossigenazione, si andrà incontro, inevitabilmente, ad una perdita transitoria o duratura dello stato di coscienza. Se il recupero dell'infortunato non è immediato si verificherà, successivamente, un'inondazione di acqua nei polmoni, che comprometterà ulteriormente le capacità di ripresa del subacqueo. Al contrario, un soccorso immediato, una volta riportato il sub in superficie, consente quasi sempre una valida ripresa dell'attività cordiorespiratoria senza alcuna conseguenza.  

(continua.....)