IL TRATTAMENTO DEI CASI MIDOLLARI REFRATTARI DI MDD.
(estratti delle lezioni e degli interventi del seminario DAN Europe
sul primo soccorso in caso di malattia da decompressione
nell'immersione sportiva)
I casi midollari di MDD "refrattari" sono considerati quelli che:
1) non migliorano durante il primo trattamento iperbarico
2) peggiorano durante o dopo il primo trattamento iperbarico
3) peggiorano dopo un iniziale miglioramento durante il primo trattamento
iperbarico.
La mancanza di miglioramento precoce, durante la prima compressione o
durante il trattamento iperbarico, guida il comportamento da tenere e le
scelte da eseguire per la prosecuzione della terapia, secondo appositi
flow-charts.
I risultati del primo trattamento possono comunque essere modificati dal-
le successive terapie sia iperbariche che farmacologiche odi rieducazione.
Il risultato finale, dopo alcuni mesi, se non viene ottenuta una
guarigione completa entro poche settimane, è una invalidità permanente di
gravità variabile, con danno neurologico anatomico e funzionale.
Il primo obbiettivo è quello di migliorare ulteriormente 1'efficacia del
primo trattamento iperbarico, anche se gli attuali schemi terapeutici
hanno già consentito di ridurre la percentuale di fallimento nella MDD
Tipo II dal 50% all ' attuale 20%. .
A questo scopo si dovrebbero comprendere meglio quali siano i "fattori di
refrattarietà" e come si possano individuare, in modo da poter meglio
mirare il primo trattamento ricompressivo.
Da nostri studi del 1987, abbiamo rilevato una correlazione dei seguenti
fattori con la"refrattarietà" al primo trattamento iperbarico:
1) elevata;soprasaturazione in azoto del midollo spinale {immersioni più
profonde di 30 metri e più lunghe di 30 minuti)
2) precocità dell'insorgenza dei sintomi
3) compromissione midollare alta ( livello cervico-dorsale )
4) gravità dei sintomi iniziali.
Più fattori sono presenti, peggiore è la prognosi ed aumenta la
possibilità di fallimento terapeutico.
Riguardo ai fattori patogenetici (quelli che contribuiscono all'
evoluzione del quadro patologico N.d. T.), questi possono essere distinti
in fattori pre-esistenti e fattori insorti durante o dopo il primo
trattamento.
I fattori pre-esistenti possono dipendere dallo sviluppo di reazioni
locali o generali durante il tempo trascorso fra l' emersione e l' arrivo
al centro iperbarico. Purtroppo non possono essere sempre evidenziati all'
esame clinico o strumentale, non possono essere rimossi dalla
ricompressione, ma non debbono venire ignorati.
Essi possono essere:
1) emorragie
2) edema e sofferenza cellulare
3) infiammazione
4) necrosi cellulare o distruzione di fibre nervose.
Non possediamo dati certi riguardo all'incidenza di emorragie midollari
nell'uomo, ma i risultati degli ultimi studi di Leitch e Hallenbeck hanno
dimostrato la pressoché costante presenza di microemorragie midollari,
fino ad arrivare ad effusioni ematiche massive, in quei casi esposti a
maggior saturazione ed a decompressione più rapida, casi che presentavano,
quindi, ben definiti fattori di "refrattarietà".
Sembrerebbe, pertanto, che 1 'uso di farmaci anticoagulanti (eparina,
antiaggreganti) sia da evitare nei casi refrattari.
L'edema e la sofferenza cellulare, possono essere gli effetti
dell'ipossia, mentre la risposta infiammatoria coinvolge l' attivazione
del complemento C3a e C5a (sostanze coinvolte nella risposta infiammatoria
dei tessuti, N.d. T.). Questo fenomeno di attivazione può essere provocato
dallo stress, o dalla stessa presenza delle bolle, ma il fatto più
interessante è che la MDD può essere condizionata dalla diversa
suscettibilità individuale all' attivazione del Complemento e che animali
sperimentalmente "decomplementati" sono immuni dalla MDD.
Riguardo al danno tissutale, gli studi sperimentali di Sykes e Yaffe
suggerirebbero che le lesioni microstrutturali provocate dall' espansione
della fase gassosa o dall' anossia potrebbero essere la causa principale
della refrattarietà al trattamento della MDD midollare.
Considerando, infine, le possibili cause dell' aggravamento o della
ricomparsa dei sintomi durante o dopo il primo trattamento, occorre
distinguere due aspetti differenti:
1) la terapia non può impedire lo sviluppo di fenomeni clinici già
instaurati
2) la ricompressione può favorire o provocare fenomeni di "riperfusione"
delle zone prima non irrorate. Ciò potrebbe essere facilitato da una
repentina ripresa del flusso sanguigno verso le zone prima ischemiche, a
causa della rapida riduzione del volume delle bolle. Le conseguenze della
"riperfusione" potrebbero essere:
a) la generazione di edema vasogenico e di disturbi secondari della
coagulazione
b) l' attivazione del Complemento e dei meccanismi della infiammazione
c) l' aumentata produzione di radicali tossici dell’ ossigeno ed il danno
cellulare, specie durante 1 'uso di ossigeno iperbarico o di miscele
arricchite.
Non si può, a questo punto, ignorare che l' ossigeno iperbarico è
considerato, da un lato, capace di aumentare il danno da "riperfusione",
mentre, dall'altro, ha effetti benefici in caso di ischemia tissutale e di
fenomeni infiammatori.
L'effetto della terapia, pertanto, potrebbe e dovrebbe essere il risultato
di un rapporto ottimale fra effetti positivi e negativi dell'ossigeno
iperbarico, il che porta alla necessità di ottimizzarne 1' uso per
ottenere i migliori successi.
A questo proposito, le ricerche di Leitch e Hallenbeck, indicano che i
migliori risultati sulla MDD midollare si ottengono a pressioni di
trattamento in ossigeno di 2.0 ATA, rispetto a pressioni più elevate o più
basse.
Queste conclusioni suggerirebbero la riduzione della pressione di
trattamento delle tabelle attualmente in uso. Bisogna però ricordare che
in questi esperimenti la terapia è stata iniziata 15 minuti dopo
l'insorgenza dei sintomi, quando l'effetto di "riperfusione" potrebbe
essere meno evi- dente rispetto alle situazioni più abituali sul campo,
dove gli intervalli sono maggiori.
L'ultimo aspetto del fenomeno della "riperfusione", concerne
l'aggravamento dei sintomi durante la fase di compressione del trattamento
iperbarico, attribuibile a vasodilatazione ed a fenomeni infiammatori.
Se questa ipotesi è corretta, si potrebbe giustificare il fatto che il
fenomeno è molto raro con l'uso delle tabelle in ossigeno della US Navy,
che sono limitate alla profondità di 18 metri, oppure utilizzando una
velocità di compressione rallentata e si potrebbe ipotizzare l'uso di una
velocità di compressione misurata alla riduzione od alla prevenzione del
fenomeno di "riperfusione".
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