IPOTERMIA
L'argomento è dedicato a quei subacquei incalliti che non rinunciano ad
andar per mare neanche nei mesi più freddi dell'anno. Indubbiamente
avventurarsi in mare nella stagione fredda obbliga ad alcune precauzioni per
evitare di incorrere in malanni conseguenti ad eccessivo raffreddamento. Tra
gli accorgimenti fondamentali da adottare il primo posto spetta
indubbiamente all'adozione di un abbigliamento adeguato, che porterà
all'interposizione di un discreto strato di lana tra il corpo e l'ambiente
atmosferico nel corso dei nostri spostamenti all'asciutto; altra utile
precauzione sarà quella di indossare, durante la navigazione per raggiungere
i siti di pesca, giacche e pantaloni in tela cerata,che hanno la
caratteristica di mantenere gli abiti asciutti ed evitare la
termodispersione.
FATTORI FAVORENTI
L'IPOTERMIA
-
Malattie
neurologiche
-
Traumi
Cranici
-
Intossicazioni da farmaci
-
Abuso di
bevande alcoliche
-
Malnutrizione
-
Età
avanzata
In caso di utilizzo di una
imbarcazione per le uscite invernali di pesca subacquea avremo cura di
portarci degli abiti asciutti di ricambio, assieme ad una coperta e a degli
asciugamani. Altrettanto importante una buona scorta di bevande calde ben
zuccherate (the o cioccolato) e di sostanze ad elevato contenuto calorico -
zuccherino (miele, cioccolato, ecc..), in grado di fornire un adeguato
apporto calorico. Particolarmente indicati a tale scopo sono alcuni prodotti
farmaceutici, comunemente definiti integratori calorici, che presentano
nella loro composizione alcuni elementi naturali (miele, pappa reale,
ginseng ecc..) che hanno la capacità di aumentare la resistenza e
l'adattamento dell'organismo alle situazioni di stress fisico.
L'uso di bevande alcoliche è tassativamente vietato, in quanto tali sostanze
hanno un effetto vasodilatatore, anche a livello dello strato cutaneo,
effetto che favorisce la termodispersione e, quindi,il raffreddamento del
corpo.
L'immersione subacquea, sia in apnea che con mezzi autonomi di respirazione,
se effettuata nei periodi freddi richiede l'osservanza di alcune regole
che possiamo definire "fondamentali".
Innanzitutto qualsiasi immersione deve essere pianificata e programmata
meticolosamente, tenendo presente che i tempi di permanenza in acqua
dovranno essere inferiori rispetto alla stagione calda, questo vale
principalmente per quanti s'immergono con A.R.A.; infatti le basse
temperature provocano un fenomeno, definito "vasocostrizione da freddo", in
conseguenza del quale si ha un maggior ristagno di sangue a livello
periferico con conseguente maggiore accumulo di azoto in immersione e minore
eliminazione in fase di risalita e decompressione, con conseguente pericolo
di comparsa di fenomeni embolici, pericolo accentuato dalla permanenza, in
decompressione, nella fascia dei primi metri, strato dell'acqua più freddo
nel periodo invernale. Sarà buona norma adottare mute stagne che consentono
di combattere la termodispersione indossando sotto la muta, indumenti caldi;
i pescatori sub dovranno invece utilizzare mute umide di adeguato spessore
(5-6 mm), meglio se a bordi stagni; anche l'uso di un sottomuta non è da
disdegnare, così come guanti e calzari che proteggeranno le estremità, noto
"tallone di Achille" di tutti i sub. Al termine di ogni immersione, sia in
apnea che con A.R.A., è buona norma assumere sempre una bevanda calda ben
zuccherata per un adeguato reintegro delle calorie perse. Altro accorgimento
importante è quello di informare sempre chi rimane a terra del luogo
dove si è diretti e della presumibile ora di rientro, meglio ancora dotare
la propria imbarcazione di una apparecchiatura ricetrasmittente VHF in banda
marina sempre efficiente, oltre al telefono cellulare. Detto tutto sulle
precauzioni da prendere per andar per mare in inverno esaminiamo il pericolo
più grave a cui si può andare incontro in seguito all'esposizione del nostro
corpo alle basse temperature.
IPOTERMIA:
Si definisce con questo termine una patologia, quasi sempre di
carattere accidentale, caratterizzata da abbassamento della temperatura
corporea ed insufficiente produzione di calore mediante i processi
metabolici e suscettibile di provocare quadri clinici di estrema gravità
sino all'arresto cardio-respiratorio.
Questa patologia, può essere conseguenza, principalmente, di una prolungata
esposizione ad ambiente freddo, oltre che di alcuni tipi di malattie che
alterano i meccanismi di termoregolazione corporea.
Come è ovvio l'ipotermia da esposizione si osserva con maggior frequenza in
montagna, specialmente in quelle situazioni in cui l'infortunato rimane per
molte ore a temperature atmosferiche prossime o inferiori ai 0° C.
Altra situazione in cui si presentano quadri di ipotermia da esposizione è
quella conseguente ad immersione in acqua fredda, in soggetti non
adeguatamente protetti. Recenti statistiche hanno dimostrato che l'ipotermia
accidentale, unitamente alla patologia traumatica e all'annegamento, è
responsabile di numerosi decessi ogni anno.
In condizioni di riposo l'organismo produce all'incirca 3000 kilocalorie
(1680 con i processi metabolici e 1320 con l'attività muscolare); i centri
più attivi per la produzione del calore sono rappresentati oltre che dai
muscoli, dal fegato e dal rene.
La temperatura corporea,in condizioni di normalità si mantiene su valori di
circa 37° C., anche se la temperatura ambientale subisce notevoli
variazioni. Il mantenimento di un equilibrio termico adeguato,
all'abbassarsi delle temperatura, è regolato da una serie di meccanismi
fisiologici che hanno la finalità di diminuire la perdita di calore oltre
che di incrementarne la produzione. La perdita di calore è ostacolata da un
meccanismo di tipo vascolare che, in condizioni di bassa temperatura,
reagisce diminuendo l'afflusso di sangue verso le zone cutanee
(vasocostrizione periferica), fenomeno che provoca diminuzione della
conduttività termica e quindi del trasferimento di calore dagli organi
interni verso i distretti cutanei superficiali. Il rallentamento della
circolazione è poi anche legato alla aumentata viscosità del sangue indotta
dal freddo. Altro meccanismo fisiologico di compenso, in situazioni di bassa
temperatura, è rappresentato dall'aumento di produzione di calore ottenuto
attraverso un incremento dei processi metabolici mediante l'esercizio fisico
e il brivido.
Come detto precedentemente il corpo umano già in condizioni di riposo
produce 1320 kcal. tale valore può aumentare anche di 10 volte durante l'
esercizio fisico; altra reazione al freddo è rappresentata dall'aumento del
tono muscolare a direzione centripeta a cui consegue la comparsa di brividi
e successivo incremento dell'attività metabolica (fino a cinque volte il
normale). Purtroppo sia l'attività fisica che la comparsa di brividi sono
risposte di tipo svantaggioso ai fini della conservazione del calore; perché
se è vero che da un lato provocano aumento di produzione di calore a livello
metabolico, dall'altro provocano una pari, se non superiore, perdita cutanea
del calore prodotto.
Infatti l'aumento dell'attività muscolare che si ottiene con l'esercizio
fisico o con il brivido provoca un pari aumento del flusso di sangue verso
il distretto cutaneo a cui consegue blocco della vasocostrizione e aumento
della velocità di perdita di calore.
Detto tutto sui fenomeni fisiologici che portano alla produzione di calore
ed al suo mantenimento nell'organismo, esaminiamo ore cosa succede ad un
individuo colpito da ipotermia, gli effetti di questa sui processi vitali ed
il suo trattamento.
IPOTERMIA IN ARIA
Molto frequente in montagna,
dove può svilupparsi con estrema rapidità, tale quadro è riscontrabile di
frequente anche in coloro che, per avaria del fuoribordo e vestiario
scarsamente isolante, passano la notte in mare su imbarcazioni prive di
cabine. Infatti di notte l'ipotermia si può instaurare con estrema rapidità
favorita da alcuni fattori quali: notevole abbassamento della temperatura
atmosferica, abiti umidi o bagnati (perdita per conduzione), vento (perdita
per convenzione), vestiario scarsamente isolante. Alla diminuzione della
temperatura corporea seguirà diminuzione della produzione di calore con
conseguente rapido raffreddamento fino alla comparsa di ipotermia.
IPOTERMIA DA IMMERSIONE
Si tratta di un quadro di
estrema gravità che ha subito un notevole incremento negli ultimi anni in
seguito allo sviluppo di diverse attività ricreative che hanno come luogo di
svolgimento l'ambiente acqua. E' di frequente osservazione nei praticanti la
disciplina del Windsurf, del Rafting, della canoa ed anche nei diportisti
nautici che amano le uscite invernali.
Nelle discipline precedentemente elencate l'ipotermia è evento patologico
che si presenta con maggior frequenza rispetto all'annegamento, in quanto
nella maggior parte dei casi il malcapitato indossa il giubbetto salvagente,
ma perde calore per le basse temperature dell'acqua, per il prolungarsi dei
tempi di permanenza in acqua e di recupero sul natante. Infatti, a parità di
temperatura, in acqua il corpo umano perde calore con una velocità 25 volte
maggiore rispetto all'aria. La velocità di raffreddamento di un individuo
immerso e non adeguatamente protetto è condizionata da una serie di fattori,
quali la temperatura dell'acqua, il movimento del corpo e la massa adiposa.
TEMPERATURA DELL'ACQUA: già
a 20° C. il bilancio termico è in negativo, nel senso che la perdita di
calore supera di gran lunga la produzione. Considerato che le temperature
medie invernali nei nostri mari si aggirano attorno ai 10° C., il tempo di
sopravvivenza in acqua è limitato tra i 90 e i 120 minuti; tali tempi
saranno di gran lunga inferiori se l'immersione avviene in fiumi e laghi di
montagna, le cui temperature non superano mai i 5-7° C.
MOVIMENTO DEL CORPO: il
movimento aumenta invariabilmente la perdita di calore, sia per contatto
diretto, che per un aumento del flusso di sangue verso i distretti cutanei
periferici con blocco della vasocostrizione.
TESSUTO ADIPOSO: questo
strato di tessuto grasso rappresenta una efficace barriera isolante, per cui
i soggetti "grassi" cederanno calore molto più lentamente, raffreddandosi in
tempi più lunghi rispetto ai soggetti magri.
Tabella 1: IPOTERMIA DA
ESPOSIZIONE
In ARIA = BASSA
TEMPERATURA ABITI BAGNATI VENTO
In ACQUA = AUMENTO
PERDITA DI CALORE (fino a 25 volte rispetto all’aria)
AUMENTO VELOCITA' DI
RAFFREDDAMENTO (tempi di permanenza lunghi).
QUADRO
CLINICO
Il rilievo principale è, come ovvio, il progressivo abbassamento della
temperatura corporea; la sintomatologia sarà diversa a seconda della durata
e della profondità dell'ipotermia. Si può comunque affermare, in accordo con
la letteratura scientifica internazionale, che temperature corporee
superiori ai 33 ° C. provocano sintomi lievi e sfumati, poiché i meccanismi
di termoregolazione rimangono ancora efficienti.
-
a 33° C.
si hanno manifestazioni di carattere neurologico, con difficoltà
nell'articolazione della parola e rallentamento dei processi ideativi;
-
a 30° C.
compare senso di stupore, accentuazione dei sintomi precedentemente
descritti, accompagnati da brividi squassanti e diminuzione dei riflessi;
-
a 27° C.
compare stato di coma con abolizione dei riflessi.
La circolazione risponde
all'insulto ipotermico con una vasocostrizione iniziale a livello cutaneo
(pelle fredda e violacea), successivamente diminuisce la frequenza cardiaca
e la pressione arteriosa. Anche l'apparato respiratorio risponde alla bassa
temperatura diminuendo sia l'ampiezza che il numero degli atti respiratori
con conseguente comparsa di ipossia (poco ossigeno nei tessuti), fenomeno
questo che è comunque ben tollerato dall'organismo grazie alla bassa
temperatura corporea.
TRATTAMENTO
Il primo presidio terapeutico da intraprendere in un infortunato ipotermico
è il riscaldamento. Tale intervento può essere effettuato, in ambiente
extraospedaliero, riscaldando l'infortunato in maniera lenta e progressiva,
avvolgendolo in coperte o in fogli di alluminio termoriflettente (metodica
di autoriscaldamento). E' importante non procedere ad un riscaldamento
rapido con mezzi quali acqua calda, borse di acqua calda e via dicendo, in
quanto si andrebbe inevitabilmente incontro ad un grave quadro definito
"shock da riscaldamento" o "after drop" degli autori americani. Questo shock
è la diretta conseguenza di un troppo rapido riscaldamento a livello
cutaneo, riscaldamento che provoca la ricircolazione del sangue
"sequestrato" e raffreddato, a livello dei distretti cutanei, dal fenomeno
della vasocostrizione con conseguente ritorno al cuore e agli altri organi
di notevoli quantità di sangue freddo; così, subito dopo la fase di
riscaldamento, si assiste ad una repentina caduta delle temperatura centrale
con delle conseguenze addirittura catastrofiche. E' comunque fondamentale
per la salvaguardia della vita dell'infortunato il trasferimento, in tempi
ultrarapidi, in un Centro di Rianimazione Ospedaliero, essendo l'ipotermia
un quadro clinico di estrema gravità suscettibile di compromettere in modo
irreversibile le funzioni vitali del malcapitato di turno.
La sincope ipossica è un’improvvisa perdita di coscienza, prodotta
da una caduta della pressione parziale dell’ossigeno nel sangue (PaO2)
al di sotto di livelli critici (PaO2<25-30 mm. Hg.).In modo
pittoresco, gli americani la chiamano shallow-water blackout: si perché è
proprio come se improvvisamente andasse via la corrente al cervello; ma in
realtà questo termine venne applicato per la prima volta nel 1940 per
indicare l’improvvisa perdita di coscienza di operatori subacquei, che
utilizzavano respiratori ad ossigeno a circuito chiuso, per abnorme
incremento della PCO2 (pressione parziale dell’anidride carbonica
nel sangue). La sincope ipossica si determina generalmente durante la
risalita, solitamente a 5-3 metri dalla superficie, perché proprio a queste
quote si producono le maggiori variazioni relative della PaO2.
Dalle testimonianze raccolte in sopravvissuti ad episodi sincopali emerge
che pochi secondi prima della perdita di coscienza – troppo tardi per porvi
rimedio - si manifestano alterate percezioni sensoriali (suoni, colori) e
parestesie (formicolii) cutanee. Ma diamo una rapida occhiata alle leggi di
fisica ed ai meccanismi fisiologici in gioco, nel corso di un’immersione.
Innanzi tutto bisogna far luce su di un equivoco piuttosto comune: nel corso
dell’immersione l’aumentare della pressione facilita il passaggio
dell’ossigeno nel sangue, da ciò il benessere (poi vedremo di che si tratta)
sperimentato dal sub in profondità. In realtà la quantità di ossigeno
“sciolto” nel sangue, cioè in soluzione, è del tutto trascurabile ai fini
della respirazione. L’ossigeno si lega all’emoglobina ed il meccanismo
fondamentale è l’equilibrio che si determina tra le pressioni parziali di
esso nel passaggio del sangue attraverso gli alveoli. Quindi la pressione
parziale dell’ossigeno nell’aria determina la pressione parziale
dell’ossigeno nel sangue arterioso e quest’ultima la percentuale di
saturazione in ossigeno dell’emoglobina. Questa relazione tra pressione
parziale dell’ossigeno e percentuale di saturazione dell’emoglobina è
caratterizzata da una curva.
|
Tutti gli eventi che spostano la curva di dissociazione verso
destra (C) determinano una minore affinità dell’emoglobina per l’ossigeno,
quindi una maggiore cessione di questo ai tessuti (aumento della PaCO2,
caduta del pH, aumento della temperatura per attività muscolare).
E questi, come si può facilmente intuire, sono tutti meccanismi utili al
fine dell’immersione in apnea. Come pure quello prodotto da una sostanza
contenuta nei globuli rossi (2,3-difosfoglicerato), che, in condizioni di
ipossia, sposta a destra la curva e, pur determinando quindi bassi livelli
di saturazione dell’emoglobina, la rende più ripida, assicurando maggiori
livelli di PaO2 e rendendo ancora possibile la respirazione dei tessuti.
Beh ... siamo diventati quasi dei pesci? Tutto è concertato perché noi si
possa stare in immersione quanto più a lungo possibile; ma vediamo cosa
succede quando si esagera.
Iniziamo con una bella iperventilazione: tanti bei respiri lunghi, fino a
quando quasi ci gira la testa (è quello che succede quando si riesce a
smaltire molta CO2) e giù verso il fondo.
Questo è il primo atto di un
possibile dramma:
-
abbiamo
aumentato di molto poco le nostre riserve di ossigeno (sì perché come
abbiamo visto, al livello del mare la nostra emoglobina è satura in ossigeno
completamente);
-
abbiamo
fatto spostare verso sinistra la curva di dissociazione, per effetto della
ridotta quantità di CO2 nel sangue, con conseguente difficoltà
dell’emoglobina a lasciare andare l’ossigeno verso i tessuti che ne hanno
bisogno);
abbiamo ritardato
l’insorgere di quei segnali che ci dicono che siamo proprio in rosso (il
punto di rottura dell’apnea si manifesta per una PaCO2 tra 55 e 60 mm.Hg.).
Sul fondo poi, i meccanismi che abbiamo visto sopra lavorano tutti per
assicurarci la migliore saturazione possibile dell’emoglobina: da ciò nasce
il benessere che talora avvertiamo, ma sono in gioco anche altri importanti
meccanismi di adattamento psicologico, siano essi l’agone per una cattura
che l’immergersi in uno stato meditativo. Ci tratteniamo, così, qualche
secondo di più, ma alla fine, gli stimoli per riprendere a respirare
diventano impellenti e ritorniamo su. E proprio in questa fase ci può essere
l’epilogo di un’immersione impostata male.I polmoni tornano a riespandersi e
la PO2 cade drammaticamente: il gioco delle pressioni parziali che tendono
all’equilibrio tra sangue ed alveoli, e della saturazione in ossigeno
dell’emoglobina lavora all’inverso di quanto successo in immersione, mentre
l’ossigeno è stato fisicamente consumato: la PaO2 negli ultimi metri subisce
le maggiori variazioni relative e può scendere a livelli incompatibili con
il funzionamento delle cellule cerebrali … e .... va via la luce.
(M. Malpieri)
(..... torna)
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