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sincope da apnea prolungata
04-01-15

©  CEDIFOP 2004 tutti i diritti riservati

 

IPOTERMIA


L'argomento è dedicato a quei subacquei incalliti che non rinunciano ad andar per mare neanche nei mesi più freddi dell'anno. Indubbiamente avventurarsi in mare nella stagione fredda obbliga ad alcune precauzioni per evitare di incorrere in malanni conseguenti ad eccessivo raffreddamento. Tra gli accorgimenti fondamentali da adottare il primo posto spetta indubbiamente all'adozione di un abbigliamento adeguato, che porterà all'interposizione di un discreto strato di lana tra il corpo e l'ambiente atmosferico nel corso dei nostri spostamenti all'asciutto; altra utile precauzione sarà quella di indossare, durante la navigazione per raggiungere i siti di pesca, giacche e pantaloni in tela cerata,che hanno la caratteristica di mantenere gli abiti asciutti ed evitare la termodispersione.

FATTORI FAVORENTI L'IPOTERMIA

  • Malattie neurologiche
  • Traumi Cranici
  • Intossicazioni da farmaci
  • Abuso di bevande alcoliche
  • Malnutrizione
  • Età avanzata

In caso di utilizzo di una imbarcazione per le uscite invernali di pesca subacquea avremo cura di portarci degli abiti asciutti di ricambio,  assieme ad una coperta e a degli asciugamani. Altrettanto importante una buona scorta di bevande calde ben zuccherate (the o cioccolato) e di sostanze ad elevato contenuto calorico - zuccherino (miele, cioccolato, ecc..), in grado di fornire un adeguato apporto calorico. Particolarmente indicati a tale scopo sono alcuni prodotti farmaceutici, comunemente definiti integratori calorici, che presentano nella loro composizione alcuni elementi naturali (miele, pappa reale, ginseng ecc..) che hanno la capacità di aumentare la resistenza e l'adattamento dell'organismo alle situazioni di stress fisico.
L'uso di bevande alcoliche è tassativamente vietato, in quanto tali sostanze hanno un effetto vasodilatatore, anche a livello dello strato cutaneo, effetto che favorisce la termodispersione e, quindi,il raffreddamento del corpo.
L'immersione subacquea, sia in apnea che con mezzi autonomi di respirazione, se effettuata nei periodi freddi richiede l'osservanza di alcune regole che possiamo definire "fondamentali".
Innanzitutto qualsiasi immersione deve essere pianificata e programmata meticolosamente, tenendo presente che i tempi di permanenza in acqua dovranno essere inferiori rispetto alla stagione calda, questo vale principalmente per quanti s'immergono con A.R.A.; infatti le basse temperature provocano un fenomeno, definito "vasocostrizione da freddo", in conseguenza del quale si ha un maggior ristagno di sangue a livello periferico con conseguente maggiore accumulo di azoto in immersione e minore eliminazione in fase di risalita e decompressione, con conseguente pericolo di comparsa di fenomeni embolici, pericolo accentuato dalla permanenza, in decompressione, nella fascia dei primi metri, strato dell'acqua più freddo nel periodo invernale. Sarà buona norma adottare mute stagne che consentono di combattere la termodispersione indossando sotto la muta, indumenti caldi; i pescatori sub dovranno invece utilizzare mute umide di adeguato spessore (5-6 mm), meglio se a bordi stagni; anche l'uso di un sottomuta non è da disdegnare, così come guanti e calzari che proteggeranno le estremità, noto "tallone di Achille" di tutti i sub. Al termine di ogni immersione, sia in apnea che con A.R.A., è buona norma assumere sempre una bevanda calda ben zuccherata per un adeguato reintegro delle calorie perse. Altro accorgimento importante è quello di informare sempre chi rimane a terra del luogo dove si è diretti e della presumibile ora di rientro, meglio ancora dotare la propria imbarcazione di una apparecchiatura ricetrasmittente VHF in banda marina sempre efficiente, oltre al telefono cellulare. Detto tutto sulle precauzioni da prendere per andar per mare in inverno esaminiamo il pericolo più grave a cui si può andare incontro in seguito all'esposizione del nostro corpo alle basse temperature.


IPOTERMIA: Si definisce con questo termine una patologia, quasi sempre di carattere accidentale, caratterizzata da abbassamento della temperatura corporea ed insufficiente produzione di calore mediante i processi metabolici e suscettibile di provocare quadri clinici di estrema gravità sino all'arresto cardio-respiratorio.
Questa patologia, può essere conseguenza, principalmente, di una prolungata esposizione ad ambiente freddo, oltre che di alcuni tipi di malattie che alterano i meccanismi di termoregolazione corporea.
Come è ovvio l'ipotermia da esposizione si osserva con maggior frequenza in montagna, specialmente in quelle situazioni in cui l'infortunato rimane per molte ore a temperature atmosferiche prossime o inferiori ai 0° C.
Altra situazione in cui si presentano quadri di ipotermia da esposizione è quella conseguente ad immersione in acqua fredda, in soggetti non adeguatamente protetti. Recenti statistiche hanno dimostrato che l'ipotermia accidentale, unitamente alla patologia traumatica e all'annegamento, è responsabile di numerosi decessi ogni anno.
In condizioni di riposo l'organismo produce all'incirca 3000 kilocalorie (1680 con i processi metabolici e 1320 con l'attività muscolare); i centri più attivi per la produzione del calore sono rappresentati oltre che dai muscoli, dal fegato e dal rene.
La temperatura corporea,in condizioni di normalità si mantiene su valori di circa 37° C., anche se la temperatura ambientale subisce notevoli variazioni. Il mantenimento di un equilibrio termico adeguato, all'abbassarsi delle temperatura, è regolato da una serie di meccanismi fisiologici che hanno la finalità di diminuire la perdita di calore oltre che di incrementarne la produzione. La perdita di calore è ostacolata da un meccanismo di tipo vascolare che, in condizioni di bassa temperatura, reagisce diminuendo l'afflusso di sangue verso le zone cutanee (vasocostrizione periferica), fenomeno che provoca diminuzione della conduttività termica e quindi del trasferimento di calore dagli organi interni verso i distretti cutanei superficiali. Il rallentamento della circolazione è poi anche legato alla aumentata viscosità del sangue indotta dal freddo. Altro meccanismo fisiologico di compenso, in situazioni di bassa temperatura, è rappresentato dall'aumento di produzione di calore ottenuto attraverso un incremento dei processi metabolici mediante l'esercizio fisico e il brivido.
Come detto precedentemente il corpo umano già in condizioni di riposo produce 1320 kcal. tale valore può aumentare anche di 10 volte durante l' esercizio fisico; altra reazione al freddo è rappresentata dall'aumento del tono muscolare a direzione centripeta a cui consegue la comparsa di brividi e successivo incremento dell'attività metabolica (fino a cinque volte il normale). Purtroppo sia l'attività fisica che la comparsa di brividi sono risposte di tipo svantaggioso ai fini della conservazione del calore; perché se è vero che da un lato provocano aumento di produzione di calore a livello metabolico, dall'altro provocano una pari, se non superiore, perdita cutanea del calore prodotto.
Infatti l'aumento dell'attività muscolare che si ottiene con l'esercizio fisico o con il brivido provoca un pari aumento del flusso di sangue verso il distretto cutaneo a cui consegue blocco della vasocostrizione e aumento della velocità di perdita di calore.
Detto tutto sui fenomeni fisiologici che portano alla produzione di calore ed al suo mantenimento nell'organismo, esaminiamo ore cosa succede ad un individuo colpito da ipotermia, gli effetti di questa sui processi vitali ed il suo trattamento.


IPOTERMIA IN ARIA

Molto frequente in montagna, dove può svilupparsi con estrema rapidità, tale quadro è riscontrabile di frequente anche in coloro che, per avaria del fuoribordo e vestiario scarsamente isolante, passano la notte in mare su imbarcazioni prive di cabine. Infatti di notte l'ipotermia si può instaurare con estrema rapidità favorita da alcuni fattori quali: notevole abbassamento della temperatura atmosferica, abiti umidi o bagnati (perdita per conduzione), vento (perdita per convenzione), vestiario scarsamente isolante. Alla diminuzione della temperatura corporea seguirà diminuzione della produzione di calore con conseguente rapido raffreddamento fino alla comparsa di ipotermia.


IPOTERMIA DA IMMERSIONE

Si tratta di un quadro di estrema gravità che ha subito un notevole incremento negli ultimi anni in seguito allo sviluppo di diverse attività ricreative che hanno come luogo di svolgimento l'ambiente acqua. E' di frequente osservazione nei praticanti la disciplina del Windsurf, del Rafting, della canoa ed anche nei diportisti nautici che amano le uscite invernali.
Nelle discipline precedentemente elencate l'ipotermia è evento patologico che si presenta con maggior frequenza rispetto all'annegamento, in quanto nella maggior parte dei casi il malcapitato indossa il giubbetto salvagente, ma perde calore per le basse temperature dell'acqua, per il prolungarsi dei tempi di permanenza in acqua e di recupero sul natante. Infatti, a parità di temperatura, in acqua il corpo umano perde calore con una velocità 25 volte maggiore rispetto all'aria. La velocità di raffreddamento di un individuo immerso e non adeguatamente protetto è condizionata da una serie di fattori, quali la temperatura dell'acqua, il movimento del corpo e la massa adiposa.

 TEMPERATURA DELL'ACQUA: già a 20° C. il bilancio termico è in negativo, nel senso che la perdita di calore supera di gran lunga la produzione. Considerato che le temperature medie invernali nei nostri mari si aggirano attorno ai 10° C., il tempo di sopravvivenza in acqua è limitato tra i 90 e i 120 minuti; tali tempi saranno di gran lunga inferiori se l'immersione avviene in fiumi e laghi di montagna, le cui temperature non superano mai i 5-7° C.

MOVIMENTO DEL CORPO: il movimento aumenta invariabilmente la perdita di calore, sia per contatto diretto, che per un aumento del flusso di sangue verso i distretti cutanei periferici con blocco della vasocostrizione.

TESSUTO ADIPOSO: questo strato di tessuto grasso rappresenta una efficace barriera isolante, per cui i soggetti "grassi" cederanno calore molto più lentamente, raffreddandosi in tempi più lunghi rispetto ai soggetti magri.

 

Tabella 1: IPOTERMIA DA ESPOSIZIONE

In ARIA         = BASSA TEMPERATURA ABITI BAGNATI VENTO

In ACQUA    = AUMENTO PERDITA DI CALORE (fino a 25 volte rispetto all’aria)

AUMENTO VELOCITA' DI RAFFREDDAMENTO (tempi di permanenza  lunghi).

 

 QUADRO CLINICO


Il rilievo principale è, come ovvio, il progressivo abbassamento della temperatura corporea; la sintomatologia sarà diversa a seconda della durata e della profondità dell'ipotermia. Si può comunque affermare, in accordo con la letteratura scientifica internazionale, che temperature corporee superiori ai 33 ° C. provocano sintomi lievi e sfumati, poiché i meccanismi di termoregolazione rimangono ancora efficienti.

  • a 33° C. si hanno manifestazioni di carattere neurologico, con difficoltà nell'articolazione della parola e rallentamento dei processi ideativi;
  • a 30° C. compare senso di stupore, accentuazione dei sintomi precedentemente descritti, accompagnati da brividi squassanti e diminuzione dei riflessi;
  • a 27° C. compare stato di coma con abolizione dei riflessi.

La circolazione risponde all'insulto ipotermico con una vasocostrizione iniziale a livello cutaneo (pelle fredda e violacea), successivamente diminuisce la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. Anche l'apparato respiratorio risponde alla bassa temperatura diminuendo sia l'ampiezza che il numero degli atti respiratori con conseguente comparsa di ipossia (poco ossigeno nei tessuti), fenomeno questo che è comunque ben tollerato dall'organismo grazie alla bassa temperatura corporea.

 

TRATTAMENTO


Il primo presidio terapeutico da intraprendere in un infortunato ipotermico è il riscaldamento. Tale intervento può essere effettuato, in ambiente extraospedaliero, riscaldando l'infortunato in maniera lenta e progressiva, avvolgendolo in coperte o in fogli di alluminio termoriflettente (metodica di autoriscaldamento). E' importante non procedere ad un riscaldamento rapido con mezzi quali acqua calda, borse di acqua calda e via dicendo, in quanto si andrebbe inevitabilmente incontro ad un grave quadro definito "shock da riscaldamento" o "after drop" degli autori americani. Questo shock è la diretta conseguenza di un troppo rapido riscaldamento a livello cutaneo, riscaldamento che provoca la ricircolazione del sangue "sequestrato" e raffreddato, a livello dei distretti cutanei, dal fenomeno della vasocostrizione con conseguente ritorno al cuore e agli altri organi di notevoli quantità di sangue freddo; così, subito dopo la fase di riscaldamento, si assiste ad una repentina caduta delle temperatura centrale con delle conseguenze addirittura catastrofiche. E' comunque fondamentale per la salvaguardia della vita dell'infortunato il trasferimento, in tempi ultrarapidi, in un Centro di Rianimazione Ospedaliero, essendo l'ipotermia un quadro clinico di estrema gravità suscettibile di compromettere in modo irreversibile le funzioni vitali del malcapitato di turno.
   La sincope ipossica è un’improvvisa perdita di coscienza, prodotta da una caduta della pressione parziale dell’ossigeno nel sangue (PaO2) al di sotto di livelli critici (PaO2<25-30 mm. Hg.).In modo pittoresco, gli americani la chiamano shallow-water blackout: si perché è proprio come se improvvisamente andasse via la corrente al cervello; ma in realtà questo termine venne applicato per la prima volta nel 1940 per indicare l’improvvisa perdita di coscienza di operatori subacquei, che utilizzavano respiratori ad ossigeno a circuito chiuso, per abnorme incremento della PCO2 (pressione parziale dell’anidride carbonica nel sangue). La sincope ipossica si determina generalmente durante la risalita, solitamente a 5-3 metri dalla superficie, perché proprio a queste quote si producono le maggiori variazioni relative della PaO2.
Dalle testimonianze raccolte in sopravvissuti ad episodi sincopali emerge che pochi secondi prima della perdita di coscienza – troppo tardi per porvi rimedio - si manifestano alterate percezioni sensoriali (suoni, colori) e parestesie (formicolii) cutanee. Ma diamo una rapida occhiata alle leggi di fisica ed ai meccanismi fisiologici in gioco, nel corso di un’immersione.
Innanzi tutto bisogna far luce su di un equivoco piuttosto comune: nel corso dell’immersione l’aumentare della pressione  facilita il passaggio dell’ossigeno nel sangue, da ciò il benessere (poi vedremo di che si tratta) sperimentato dal sub in profondità. In realtà la quantità di ossigeno “sciolto” nel sangue, cioè in soluzione, è del tutto trascurabile ai fini della respirazione. L’ossigeno si lega all’emoglobina ed il meccanismo fondamentale è l’equilibrio che si determina tra le pressioni parziali di esso nel passaggio del sangue attraverso gli alveoli. Quindi la pressione parziale dell’ossigeno nell’aria determina la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso e quest’ultima la percentuale di saturazione in ossigeno dell’emoglobina. Questa relazione tra pressione parziale dell’ossigeno e percentuale di saturazione dell’emoglobina è caratterizzata da una curva.  


Tutti gli eventi che spostano la curva di dissociazione verso destra (C) determinano una minore affinità dell’emoglobina per l’ossigeno, quindi una maggiore cessione di questo ai tessuti (aumento della PaCO2, caduta del pH, aumento della temperatura per attività muscolare).
E questi, come si può facilmente intuire, sono tutti meccanismi utili al fine dell’immersione in apnea. Come pure quello prodotto da una sostanza contenuta nei globuli rossi (2,3-difosfoglicerato), che, in condizioni di ipossia, sposta a destra la curva e, pur determinando quindi bassi livelli di saturazione dell’emoglobina, la rende più ripida, assicurando maggiori livelli di PaO2 e rendendo ancora possibile la respirazione dei tessuti.
Beh ... siamo diventati quasi dei pesci? Tutto è concertato perché noi si possa stare in immersione quanto più a lungo possibile; ma vediamo cosa succede quando si esagera.
Iniziamo con una bella iperventilazione: tanti bei respiri lunghi, fino a quando quasi ci gira la testa (è quello che succede quando si riesce a smaltire molta CO2) e giù verso il fondo.

Questo è il primo atto di un possibile dramma:

-          abbiamo aumentato di molto poco le nostre riserve di ossigeno (sì perché come abbiamo visto, al livello del mare la nostra emoglobina è satura in ossigeno completamente);

-          abbiamo fatto spostare verso sinistra la curva di dissociazione, per effetto della ridotta quantità di CO2 nel sangue, con conseguente difficoltà dell’emoglobina a lasciare andare l’ossigeno verso i tessuti che ne hanno bisogno);

abbiamo ritardato l’insorgere di quei segnali che ci dicono che siamo proprio in rosso (il punto di rottura dell’apnea si manifesta per una PaCO2 tra 55 e 60 mm.Hg.).
Sul fondo poi, i meccanismi che abbiamo visto sopra lavorano tutti per assicurarci la migliore saturazione possibile dell’emoglobina: da ciò nasce il benessere che talora avvertiamo, ma sono in gioco anche altri importanti meccanismi di adattamento psicologico, siano essi l’agone per una cattura che l’immergersi in uno stato meditativo. Ci tratteniamo, così, qualche secondo di più, ma alla fine, gli stimoli per riprendere a respirare diventano impellenti e ritorniamo su. E proprio in questa fase ci può essere l’epilogo di un’immersione impostata male.I polmoni tornano a riespandersi e la PO2 cade drammaticamente: il gioco delle pressioni parziali che tendono all’equilibrio tra sangue ed alveoli, e della saturazione in ossigeno dell’emoglobina lavora all’inverso di quanto successo in immersione, mentre l’ossigeno è stato fisicamente consumato: la PaO2 negli ultimi metri subisce le maggiori variazioni relative e può scendere a livelli incompatibili con il funzionamento delle cellule cerebrali … e .... va via la luce.

(M. Malpieri)   

(..... torna)