USO DELL'OSSIGENO NORMOBARICO COME PRIMO
INTERVENTO
SUL POSTO E DURANTE IL TRASPORTI VERSO IL GENTRO
DI TERAPIA IPERBARICA.
(estratti delle lezioni e degli interventi del seminario DAN Europe
sul primo soccorso in caso di malattia da decompressione
nell'immersione sportiva)
Il trattamento degli incidenti correlati all'immersione subacquea in
camera di decompressione è una procedura nota anche ai non subacquei.
I subacquei addestrati conoscono bene, inoltre, il significato e
l'importanza dell'uso dell' ossigeno come misura immediata di soccorso.
L'uso dell' ossigeno è, dal punto di vista tecnico, abbastanza complesso
per questa utilizzazione e le attrezzature presenti sul mercato non
soddisfano le esigenze specifiche per un incidente da decompressione.
Questo giustifica, ancora di più, la tendenza all'immediato trasporto
verso un centro iperbarico, dove la terapia è eseguita in modo efficiente
da specialisti. .
Questo approccio è però errato, nel senso che, omettere l' ossigenazione a
pressione atmosferica, è un grossolano errore nel protocollo terapeutico
della MDD ed esistono mezzi tecnici che consentono la respirazione di
ossigeno sul luogo stesso dell'incidente durante il trasporto verso il
centro iperbarico, senza significativi limiti di tempo.
Perché l' ossigeno è più importante della ricompressione
I sintomi della MDD o dell'EGA, sono provocati da bolle gassose, per la
maggior parte situate nel circolo sanguigno, che può esserne parzialmente
ostruito o compromesso.
I tessuti a valle delle ostruzioni possono, quindi, diventare ischemici.
A seguito di ciò, il tessuto non è più in grado di mantenere le sue
funzioni biologiche e va incontro, entro un certo lasso di tempo, alla
sofferenza od alla morte cellulare.
E', dunque; chiaro che l'obbiettivo di ogni terapia deve essere
l'immediata eliminazione o riduzione di queste bolle.
La maggior parte degli organi è scarsamente minacciata da questo rischio
di sofferenza ischemica, a causa della possibilità di attivare sistemi di
circoli collaterali o per la loro intrinseca maggior resistenza all'
ipossia. Altri organi, però, quali il cervello ed il midollo spinale,
posseggono, in misura minore, queste capacità di reazione all' ischemia e
sono maggior- mente dipendenti da un' adeguata e costante ossigenazione.
Per questi organi, la formazione e la presenza di bolle, rappresenta un
pericolo maggiore.
Le bolle situate nel contesto stesso del tessuto, al di fuori dei vasi
sanguigni, possono, invece, provocare effetti diversi, di carattere
meccanico, con compressione di strutture anatomiche, di terminazioni
nervose e con sintomi dolorosi.
La ricompressione terapeutica di per sé, per quanto utile ed importante,
non porta sempre al successo terapeutico definitivo e ci sono altri e
diversi fattori da considerare per ottenere il miglior risultato
possibile.
1. La Finestra di Ossigeno.
La frazione di Azoto nell' aria ambiente della camera iperbarica è pari a
circa 0.8; il sangue circolante, in equilibrio di pressioni parziali di
gas è pertanto saturo di azoto ad una pressione pari all'80% di quella
ambiente. Le bolle gassose, in caso di MDD, sono composte, invece, solo di
azoto-. Le eventuali parti di ossigeno presenti in raccolte di gas
intratissutali vengono, infatti, rapidamente utilizzate o disciolte.
Questo comporta una differenza di concentrazione di azoto fra bolla e
tessuti circostanti, che facilita la soluzione dell' azoto dalla bolla nei
tessuti e nel sangue. Quanto più la bolla si riduce in volume, tanto più
tende a diminuire, per effetto della tensione superficiale, fino a
"scomparire. Tutto questo è tanto più evidente quanto minore è la frazione
di Azoto nell'aria inspirata e tanto maggiore è la frazione di Ossigeno.
2. Ossigenazione del plasma.
La pressione parziale dell' ossigeno aumenta con l' aumento della
pressione idrostatica in camera iperbarica. Per esempio, a 40 metri di
profondità la pressione parziale è 5 volte quella atmosferica, pari ad un
valore lieve- mente superiore a quello che si avrebbe respirando ossigeno
puro al livello del mare (798 rnrnHg contro 760 mmHg).
Questo, pur comportando un maggior trasporto di ossigeno disciolto nel
plasma (circa 2 volumi % in più rispetto ai 20 volumi trasportati
dall'emoglobina), non varia sostanzialmente la situazione della
disponibilità tissutale di ossigeno, anche se la quota disciolta può avere
un'importanza vitale in certe situazioni patologiche di trasporto di
ossigeno compromesso.
3. Il fattore tempo.
a) L'interruzione improvvisa del trasporto di ossigeno al tessuto provoca,
dapprima, una diminuzione dell'attività cellulare, seguita, poi, da
sofferenza e morte. Questo processo di distruzione tissutale può essere
rallentato con un precoce inizio della ossigenoterapia.
b) In mancanza di questa precoce riossigenazione, la formazione di
depositi di sostanze organiche e di cellule sulla superficie della bolla è
facilitata; già 2 ore dopo l'insorgenza dei sintomi, la diffusione di gas
dalla bolla ai tessuti è compromessa da questa barriera organica e, dopo 6
ore, è pressoché annullata. .
Una terapia adeguata richiede quindi i seguenti passi:
-inizio precoce, possibilmente entro 2 ore dalla comparsa dei sintomi
-massima pressione parziale possibile di ossigeno inspirato
-minima pressione parziale possibile dell' azoto inspirato
Ciò dimostra che la terapia ricompressiva in aria, effettuata fino ad
alcuni anni fa, ha un' efficacia limitata rispetto all' attuale e più
efficace approccio di ricompressione in ossigeno alla pressione di 2-2.8
ATA.
Il tempo che trascorre fra un incidente subacqueo e la ricompressione
terapeutica in camera iperbarica in genere non è mai breve e, spesso, si
aggira fra le 3 e le 10 o più ore.
E' , dunque, importante utilizzare bene questo tempo attraverso l'
immediata somministrazione di ossigeno puro a pressione atmosferica, che
rappresenta un trattamento di efficienza simile a quello dell'
ossigenazione iperbarica.
Il fattore tempo viene ottimizzato, così come l'inizio rapido
dell'eliminazione dell'azoto (uno "svuotamento" precoce delle bolle); la
quantità di ossigeno trasportato dal sangue è anche aumentata, seppure in
misura minore rispetto al trattamento con ossigeno iperbarico a 2.8 ATA.
Naturalmente manca l' effetto di compressione e riduzione di volume delle
bolle, sulla cui importanza, però, non c'è ampio accordo e che può avere,
al contrario, dei risvolti negativi sull'effetto di "riperfusione".
Com' è possibile realizzare la respirazione con ossigeno puro a pressione
atmosferica per il tempo necessario ?
E' necessario un sistema autonomo atto a fornire ossigeno al 100% per un
periodo fino a 4-6 ore o più. L'apparato deve avere dimensioni minime,
adatte al trasporto con l'attrezzatura da immersione, ed un prezzo
ragionevole.
Le soluzioni disponibili sul mercato sono le seguenti:
a) maschera a flusso continuo
b) maschera con serbatoio-polmone a circuito aperto
c) erogatore a domanda, con maschera o con boccaglio
d) sistema semi aperto con sacco-polmone
e) sistema a ciclo chiuso con filtro per l'assorbimento della CO2
La maschera a flusso continuo, il sistema più diffuso sulle ambulanze, ha
lo svantaggio di fornire una percentuale di ossigeno massima non superiore
al 40% ed è, pertanto, da sconsigliare in caso di incidenti subacquei.
Gli altri sistemi, se ben usati, possono garantire una percentuale di
ossigeno inalato vicina al 100%, anche se variano le caratteristiche di
consumo di gas.
I sistemi b) e c) comportano un consumo di 10-15 litri al minuto, ovvero
600-900 litri/ora. Il sistema di tipo d) è più economico, ma è di uso più
complesso e deve essere utilizzato solo da medici esperti.
Il sistema a circuito chiuso abbisogna solo della quantità di ossigeno che
viene utilizzata per il consumo metabolico dell' organismo e non dipende
dalla quantità di gas ventilato. Il consumo di ossigeno varia, con questa
soluzione tecnica, da 0.5 a 1 litro al minuto, ovvero è di 30/60
litri/ora.
Pertanto, una bombola di ossigeno da 2 litri di volume e 3 kg di peso, che
contiene 400 litri di ossigeno (a 200 ATA), basterebbe per soli 30 minuti
con gli apparecchi a) b) e c), mentre potrebbe durare fino a 6 ore con il
sistema e).
Tutte le soluzioni indicate, ad eccezione della prima, rispondono ai
requisiti tecnici e medici del trattamento della MDD con ossigeno
normobarico, ma solo la soluzione e) offre il miglior rapporto fra tempi
di trattamento e volumi di ossigeno a disposizione.
La scelta dipenderà dalle situazioni logistiche e dalle opzioni
individuali
Conclusione
L'utilità dell'uso immediato di ossigeno puro nel primo intervento per la
MDD è, ormai, universalmente accettata. Se questo non è possibile in
camera iperbarica, la somministrazione di ossigeno normobarico, per tutta
la durata del trasporto verso un centro iperbarico, è essenziale.
Le soluzioni tecniche disponibili sul mercato non soddisfano i requisiti
necessari in questi casi; per tali motivi è stato necessario sviluppare
sistemi specifici per la somministrazione di ossigeno a circuito chiuso,
in grado di garantire sia l' adeguata percentuale di ossigeno inalato che
la necessaria durata di somministrazione, con apparecchiature di uso
semplice e di facile trasportabilità.
Il sistema di respirazione di ossigeno a circuito chiuso, elaborato dal
nostro gruppo per risolvere questo problema, è stato studiato in
collaborazione con la ditta Siemens.
L' apparecchio permette, rispetto ai sistemi convenzionali, un consumo di
ossigeno estremamente ridotto.
Il sistema prevede la respirazione a ciclo chiuso attraverso un circuito
unidirezionale, dotato di sacco polmone e di filtro per l' assorbimento
della CO2. Il consumo di ossigeno viene ripristinato con l'immissione di
circa 0.5 litri/minuto nel circuito di respirazione.
L'intero apparato pesa 3 kg ed è facilmente trasportabile, inclusa la
bombola di ossigeno. La cartuccia filtro è monouso e deve essere
sostituita dopo circa 3-4 ore d'uso.
La pressione della bombola deve essere ridotta a 5 ATA, in primo stadio,
ed ai valori ambiente al secondo stadio (valvola 6 nella figura). La
valvola 6 è, di fatto, un rubinetto che fornisce da 0.3 a 2 litri di gas
al minuto. Tutti i collegamenti sono a standard ISO/DIN, con la
possibilità di adattamento alle attrezzature standard da rianimazione.
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