STORIA DELL'IMMERSIONE
INTRODUZIONE
Le origini
dell'immersione hanno le loro radici nel bisogno e nel desiderio dell' uomo
di svolgere attività subacquee, di effettuare recuperi, di impegnarsi in
operazioni militari e di estendere le frontiere della conoscenza attraverso
esplorazioni, ricerche e sviluppi.
Non si sa quando l'uomo scoprì per la prima
volta che poteva nuotare sott'acqua per recuperare gli oggetti giacenti sul
fondo, ma la professione del subacqueo è vecchia di più di 5000 anni. I
primi tentativi di immersione si limitarono a fondali relativamente bassi
(inferiori a 100 piedi): i tuffatori di quei tempi recuperavano e
raccoglievano una vasta messe di prodotti, cibo, spugne, corallo e
madreperla..
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( Vaso del VI secolo
a.C. raffigurante un tuffatore greco
che si appresta ad immergersi,
probabilmente alla ricerca di spugne.) |
Le prime
notizie di attività subacquee si trovano negli scritti dello storico greco
Erodoto: egli narra le imprese di un tuffatore greco di nome Scillia,
incaricato da Serse, re dei Persiani, di recuperare un tesoro sommerso, nel
V secolo a.C.
Già nei tempi
antichi i tuffatori erano attivi in operazioni militari. Le loro missioni
variavano dal taglio dei cavi dell'ancora per mandare le navi alla deriva,
alla perforazione di buchi nell'opera viva delle navi nemiche, alle
costruzioni delle proprie difese portuali" ed ai tentativi di distruggere
quelle dell'avversario. Secondo una documentazione storica, sembra che
Alessandro Magno abbia mandato i suoi tuffatori a rimuovere alcuni ostacoli
nel porto della città di Tiro (nell'odierno Libano), città da lui
conquistata nel 332 a.C., e che abbia voluto immergersi egli stesso per
controllare il progresso dei lavori.
Alcuni di
questi primi subacquei crearono una fiorente industria del recupero nei
principali porti del Mediterraneo orientale. Nel primo secolo a.C., le
operazioni erano così bene organizzate che venne fissata per legge una scala
delle ricompense e, perciò, riconosciuto il fatto che fatica e rischio
aumentavano con la profondità: in 24 piedi d'acqua il tuffatore aveva il
diritto alla metà del materiale recuperato, in 12 piedi ad un terzo e, in
soli tre piedi a un decimo.
PRIMI
SVILUPPI
Il
passo più ovvio e necessario per sviluppare le capacità di un subacqueo era
quello di procurargli aria sufficiente per rimanere sott'acqua. Dapprima si
usarono canne o tubi che si estendevano sino alla superficie: era, così,
possibile rimanere sommersi per un certo periodo di tempo, senza, però,
poter svolgere un lavoro utile. I tubi respiratori furono usati
principalmente come mezzo tattico nelle operazioni militari, in quanto
consentivano di avvicinarsi inosservati al caposaldo nemico. Gli uomini che
respirava- no sott'acqua con questi tubi non erano meri tuffatori, ma
soldati che li usavano come copertura per la propria missione.
A prima vista
potrebbe sembrare logico che l'unico mezzo necessario ad ampliare
ulteriormente la sfera d'azione del tuffatore fosse un tubo più lungo. In
effetti, in alcuni dei primi disegni di cui si è a conoscenza sono
raffigurati cappucci di cuoio con lunghi tubi flessibili, collegati a
galleggianti in superficie. Non ci sono prove che questi congegni
siano stati costruiti, o collaudati, in condizioni reali: con tutta
probabilità chiunque li abbia usati perì annegato. Alla profondità di soli
tre piedi, è praticamente impossibile respirare attraverso un tubo usando
solamente la capacità respiratoria del corpo, poiché il peso dell'acqua
esercita una forza totale di quasi 200 libbre sul torace del subacqueo (200
libbre = 91 kg). La profondità è uno dei fattori più importanti nelle
operazioni subacquee e, per la riuscita di qualsiasi attività subacquea, è
necessario superare o eliminare la pressione.
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(Antico e
Improponibile Marchingegno Respiratorio. Questo disegno del 1511,
raffigura
un tuffatore che ha il capo coperto da un cappuccio
di cuoio dotato di un
tubo che lo collega alla superficie.) |
In tutto il
corso della storia dell'immersione, si progettarono marchingegni fantasiosi
per raggiungere questo obiettivo, moltissimi dei quali elaborati dalle più
grandi menti delle rispettive epoche. Inizialmente non si comprese
pienamente la natura del problema della pressione sott'acqua ed i progetti
elaborati non poterono venire tradotti in pratica.
Una serie
completa di progetti era basata sulla teoria che il subacqueo potesse porta-
re con se un sacco polmone. Questo concetto deve essere molto antico poiché,
in un fregio del nono secolo a.C., si raffigurano uomini, che sembrano
tuffatori, e che usano come serbatoi d'aria vesciche rigonfie di pelle
animale. Questi uomini erano probabilmente dei nuotatori che
portavano le vesciche per rimanere a galla: sarebbe, infatti, impossibile
immergersi reggendo un aggeggio del genere.
Sembra che un sistema
che rendeva attuabile l'immersione abbia fatto una breve comparsa nel tardo
Medioevo. Nel 1240, Ruggero Bacone fece riferimento a uno "strumento con il
quale gli uomini possono camminare sul fondo del mare, o dei fiumi, senza
alcun pericolo."
Altri
autori del sedicesimo e diciassettesimo secolo descrissero e pubblicarono
disegni di apparecchiature che ne preconizzavano la riuscita futura
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(Fregio Assiro (900 a.C.)) |
Primi Successi.
Tra il
1500 ed il 1800 fu messa a punto, e usata, una campana di immersione che
permetteva al subacqueo di rimanere sott'acqua per qualche ora, e non per
pochi minuti. La campana di immersione ha la forma di una campana la cui
parte inferiore è aperta verso il mare. Le prime campane di immersione,
simili a mastelli grandi e robusti, erano calibrate in modo da essere
immerse in posizione verticale per intrappolare una quantità d'aria
sufficiente a permettere, al subacqueo, di respirare per varie ore. Il
principio della campana si può facilmente osservare immergendo un bicchiere
capovolto in una pentola d'acqua. L'aria nel bicchiere viene compressa
leggermente dall'acqua, la pressione si livella in un determinato punto e
permette, in tal modo, il formarsi di un serbatoio d'aria.
Le campane d'immersione sono assicurate in
superficie con un cavo, e non hanno alcuna manovrabilità oltre a quella
della nave di supporto logistico. Il subacqueo può rimanere nella campana,
se essa si trova sopra il punto dove lavora oppure, trattenendo il respiro,
può avventurarsi fuori per brevi periodi di tempo.
Il primo
riferimento ad una campana d'immersione realmente operativa si ebbe nel 1531
e, in seguito, per parecchie centinaia d'anni, campane rudimentali, ma
funzionali, vennero usate regolarmente. Nel decennio attorno al 1680 William
Phipps, un avventuriero nativo del Massachusetts, modificò la tecnica della
campana di immersione e, con una serie di secchi calibrati e capovolti,
alimentò l'aria ai suoi palombari mentre tentavano di recuperare un tesoro
del valore di 200.000 dollari.
Nel
1690, l'astronomo inglese Edmund Halley mise a punto una campana di
immersione la cui atmosfera veniva fornita da barili d'aria, calibrati e
calati dalla superficie. In una prima dimostrazione del suo
sistema egli si immerse nel Tamigi assieme a quattro compagni alla
profondità di 60 fsw (circa 18 metri), rimanendovi per quasi un'ora/un'ora e
mezza. Circa 26 anni più tardi, impiegando una versione perfezionata della
sua campana, Halley, allora sessantacinquenne, trascorse più di quattro ore
a 64 fsw (quasi 20 metri).
Nel 1715, un
altro inglese, John Lethbridge, mise a punto uno scafandro monoposto
completamente chiuso. L'attrezzatura di Lethbridge consisteva in un
barile d'aria, rinforzato, ricoperto di cuoio e dotato di un portello di
vetro per tener libera la visuale. Vi erano, poi, due buchi per infilare le
braccia in maniche impermeabili. Indossando questa apparecchiatura, calata
da una nave e manovrata come la campana di immersione, il suo occupante
poteva svolgere in modo utile il proprio lavoro.
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(Lo
Scafandro di Lethbridge.) |
Sembra che
Lethbridge abbia avuto successo con la sua invenzione e che abbia
partecipato a numerosi recuperi in Europa. In una lettera al direttore di
una popolare rivista, scritta nel 1749, l'inventore dice che la sua normale
profondità operativa era di 10 fathoms (60 piedi), e che poteva raggiungere
un massimo di 12 fathoms e rimanere sott'acqua per 34 minuti.
Comparvero,
e furono impiegati negli anni successivi, molti altri progetti simili a
quelli di Lethbridge. Tuttavia essi soffrivano delle stesse
limitazioni fondamentali della campana d'immersione, in quanto il palombaro
aveva poca libertà di manovra poiché non vi era alcun modo pratico di
fornirgli l'aria in modo continuato. Una vera e propria conquista si ebbe al
volgere del diciannovesimo secolo, con l'invenzione della pompa operata a
mano che poteva erogare aria pressurizzata.
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(Successo
dello scafandro Chiuso) |
Immersioni in Alti Fondali.
L'arte
e pratica dell'immersione a scopo di recupero era ben sviluppata alla metà
del diciottesimo secolo, quando l'Inghilterra entrò nell'era della
Rivoluzione Industriale. Usando campane d'immersione - congegni per
l'immersione simili a quelli di Lethbridge - oppure tuffandosi in bassi
fondali, gli uomini che operavano nel campo dei recuperi lavoravano con lena
a recuperare qualsiasi cosa, dalle ancore, all'oro e all'argento. Anche se
l'uomo è sempre stato affascinato dalla ricerca di tesori sommersi, tali
ritrovamenti furono rari, il guadagno giornaliero provenne da materiale più
modesto ma prezioso. Il valore dell'ottone dei cannoni recuperati da una
nave superò i 50.000 dollari di quell'epoca.Con tutti i relitti
disseminati lungo le coste della Gran Bretagna la progettazione di uno
scafandro che aumentasse l'efficienza delle operazioni di recupero era
fortemente incentivata
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(Recupero
di preziosi Cannoni d'ottone da una Nave da Guerra affondata.
Il primo
Scafandro con Elmo di Siebe.) |
Il
merito della progettazione del primo scafandro appartiene ad Augustus Siebe. Egli figura tra i molti progettisti, i quali, negli stessi anni,
inventarono apparecchiature di successo. Nel 1828 John e Charles Deane
brevettarono una muta per pompieri che permetteva di muoversi in un edificio
in fiamme. Nel 1828 essi brevettarono il Deane's Patent Diving
Dress, cioè una muta pesante per proteggere dal freddo, dotata di un elmo
con un portello di vetro e di una manichetta per l'erogazione dell'aria
dalla superficie. L'elmo non era fissato alla muta, ma semplicemente
appoggiato sulle spalle del palombaro, tenuto al suo posto dal peso e da
cinghie allacciate alla cintura. L'aria di scarico, o quella in eccedenza,
usciva da sotto il bordo dell'elmo e non c'erano difficoltà se il palombaro
rimaneva in posizione eretta. Se, tuttavia, inciampava o cadeva, l'elmo si
sarebbe rapidamente riempito d'acqua. Nel 1836 i Deane pubblicarono un
manuale del palombaro, forse il primo mai dato alle stampe.
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( Apparecchiatura per Ambienti
fumosi inventata dai Deane.) |
Il
contributo iniziale all'immersione dato da Augustus Siebe consiste,
essenzialmente, in una modifica dell'apparecchiatura dei Deane. Siebe
sigillò l'elmo alla muta all'altezza del colletto utilizzando una muta
impermeabile, lunga fino alla
cintura ed aggiunse al suo sistema una valvola di scarico. Noto come Siebe's
Improved Diving Dress questa apparecchiatura è l'antenata diretta dell'MK V,
apparecchiatura standard per immersioni in alti fondali, sostituita, in
seguito, agli inizi degli anni '80 (1980, per intenderci) dall' MK 12
Surface-Supplied Diving System (Apparecchiatura per immersione alimentata
dalla superficie).
Negli
anni attorno al 1840 comparvero sulla scena molti altri tipi di mute, che
furono impiegate in vere e proprie operazioni subacquee. A quel tempo,
un'unità dei British Royal Engineers era impegnata in un importante progetto
per la rimozione dei resti del relitto della nave da guerra HMS ROYAL GEORGE,
che ostacolavano l'accesso ad un importante ancoraggio della flotta proprio
fuori Portsmouth, in Inghilterra. Il colonnello William Pasley -
l'ufficiale incaricato - decise che questa operazione offriva l'opportunità
ideale per collaudare e valutare differenti tipi di apparecchiature. Egli
diffidava dello scafandro dei Deane perché riteneva possibile che l'acqua
potesse penetrare nell'elmo e raccomandò
formalmente l'adozione del modello di Siebe per operazioni future.
Dopo il completamento del progetto del
colonnello Pasley, uno storico ufficiale del governo osservò che "di tutti i
palombari esperti, non uno sfuggì a ripetuti attacchi di reumatismo e
raffreddore". l palombari avevano lavorato per sei o sette ore al giorno,
gran parte delle quali passate tra 60 e 70 piedi. Il colonnello Pasley e i
suoi uomini non si resero conto delle implicazioni di questa osservazione.
Quello che sembrava reumatismo era, in effetti, il sintomo di un problema
fisiologico ben più grave che, nell'arco di pochi anni, sarebbe diventato di
grande rilevanza per la professione del subacqueo.
(continua.....)
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