La immersione
professionale sta oggi, in un suo settore specifico di
rilevante importanza economica, attraversando una evoluzione
espansiva quasi esplosiva. Quella che noi indichiamo come
“immersione professionale” è, nel mondo anglosassone, definita
“commercial diving” e talora tradotta in Italiano con la
risibile locuzione di “la subacquea commerciale” che richiama
l’idea di una procace tuffatrice in bikini, frequentatrice di
centri di immersione e proclive al meretricio. In realtà la
definizione di “immersione professionale”, oltre a riunire
tutti coloro che dalla attività subacquea ricavano emolumenti
di qualsiasi entità e di qualsiasi tipo, raggruppa diversi
settori di attività, diversificati fra loro e dotati di
specifiche caratteristiche e di specifici requisiti.
Ci permettiamo, per
amore di chiarezza e di precisione, di sintetizzare questi
settori, aggiungendo, tra parentesi, la corrispondente
definizione Inglese e internazionale :
-
recupero o
demolizione di relitti (salvage diving),
è la attività tradizionale dei palombari che ha costituito per
oltre un secolo e mezzo il nucleo (core business) della
attività professionale subacquea,
-
interventi
portuali (harbour diving),
è la attività altrettanto tradizionale che i palombari
esercitavano nei porti per la loro costruzione, insieme ai “cassonisti”,
e per le operazioni di ispezione, carenaggio, manutenzione e
riparazione delle navi e degli ormeggi. In questo settore
rientrano tutti i palombari (q.v. Codice della Navigazione) e
tutti i Sommozzatori (q.v. DM del 13 Gennaio 1979) iscritti
nei rispettivi registri per essere abilitati a operare in
“servizio locale”,
-
interventi
per ricerca scientifica e indagini ambientali (scientific
diving), è la
attività che riunisce
-
interventi
industriali per gli idrocarburi (oil and gas diving),
è la attività che si è sviluppata, in un crescendo rossiniano
di clamore e di energia, a partire dal secondo dopoguerra e
che ha assorbito gruppi crescenti di operatori subacquei
professionisti, al punto da vantare oggi, nelle sue file,
oltre tre professionisti subacquei su quattro,
-
interventi
per acquacoltura (fish farm diving),
è probabilmente la più
silente, ma non per questo la più negletta, tra le attività
subacquee professionali. Di relativamente recente comparsa,
rivela una lenta e contenuta tendenza all’espansione,
-
pesca
professionale e raccolta di corallo (coral diving),
storicamente e
tradizionalmente ricca di nomi e di episodi, questa attività è
limitata a un gruppo relativamente ristretto di operatori che
lavorano oltre i limiti della fisiologia e delle regole
internazionali dell’industria,
-
istruttori,
guide, accompagnatori (professional leisure diving),
ultima tra le attività entrate nel professionismo, riunisce
coloro che in ambito sportivo e turistico lavorano remunerati
per fornire un servizio di didattica e/o di accompagnamento a
turisti e a sportivi di ogni livello e provenienza,
-
giornalisti e
foto/cine/teleoperatori (media project diving),
una attività limitata, nel
numero dei partecipanti, ma elevata nei livelli di
specializzazione e di competenza che giungono spesso a portare
i praticanti oltre i limiti tradizionali e codificati della
fisiologia e delle regole internazionali dell’industria.
Oggi sotto la lente
di ingrandimento si trova il settore degli “interventi
industriali per gli idrocarburi (oil and gas diving)”, la
cui crescente espansione risponde alle esigenze di un mercato
in esplosiva crescita che cerca di sagomarsi sulle esigenze e
sugli isterismi del “caro petrolio”. Lo sviluppo delle
attività di estrazione dai giacimenti sottomarini è in
crescente espansione e questo richiama sempre crescenti forze
di lavoro subacqueo per i lavori di installazione delle
strutture necessarie alla “coltivazione” dei giacimenti, alla
estrazione e al trasporto degli idrocarburi. Aumentano le
esigenze, si affinano le tecnologie, si richiede un crescente
numero di operatori, se ne domanda una crescente competenza
negli aspetti applicativi e lavorativi, se ne rendono più
severi i criteri formativi e certificativi e fortunatamente se
ne aumentano decisamente i livelli di sicurezza. Quasi
improvvisamente, dando seguito alle prime avvisaglie
sporadiche e sparse emerse nel corso del primo semestre dello
scorso anno, si è manifestato un fenomeno centripeto di
afflusso di sistemi di immersione e di operatori subacquei in
numerosi centri di attività (e.g. Golfo del Messico, Medio
Oriente, Mar Rosso, Estremo oriente, Africa Occidentale). Gli
eventi sono divenuti talmente concatenati che di fatto non si
trovano impianti di alto fondale disponibili o in attesa di
contratto e tutti sono in pratica impegnati in operazioni.
Questa situazione riguarda tanto gli impianti fissi installati
all’interno (built in saturation systems) delle navi appoggio
per lavori subacquei (Diving Vessels), quanto gli impianti
mobili di tipo modulare (modular saturation systems) o di tipo
monoblocco (package saturation systems). Mentre gli impianti
fissi hanno una loro precisa struttura e fisionomia che ne
garantisce anche le condizioni di manutenzione e di operazione
(si trovano in genere installati sotto coperta o comunque in
ambiente chiuso e condizionato) in rapporto alla attività
operativa della nave e ai suoi cicli di manutenzione
programmata, gli impianti mobili subiscono le vicissitudini
degli allestimenti su mezzi navali diversi con posizioni e
spazi diversi e conseguentemente anche con configurazioni che
spesso variano. Nel corso degli anni “90 questi ultimi tipi di
impianto avevano subito una drastica riduzione numerica a
favore di un loro miglioramento qualitativo poichè il
crescente numero di navi appoggio per lavori subacquei con
impianto fisso ne aveva limitato la domanda, contribuendo
favorevolmente alla scomparsa dei “pollai” che negli anni “70
e negli anni “80 arredavano la coperta di pontoni, supply
vessels, navi di occasione e di circostanza, spesso per
operazioni e interventi al di fuori delle fondamentali norme
di sicurezza. Questa fase di crescente domanda per impianti
di alto fondale sta ora facendo rispuntare sistemi ormai
dismessi, camere iperbariche fuori collaudo o fuori
dimensione, componenti lasciati ad arrugginire in capannoni o
in aree industriali o portuali. Tutto questo procedimento di
riesumazione avviene spesso sotto il controllo e la gestione
da parte di personale che abbina a una scarsa competenza
tecnica una pericolosa tendenza ad omettere, sotto la
pressione della necessità commerciale o contrattuale, la
necessaria cura degli aspetti di sicurezza sostanziale e
preventiva. Le caratteristiche degli impianti di basso e alto
fondale sono fissate, nei loro requisiti minimi, in una serie
di documenti variamente applicabili secondo le aree di
competenza e di applicazione, ma tutti, in linea di massima,
allineati sugli stessi requisiti dimensionali, volumetrici e
di sicurezza.
I documenti
fondamentali sono :
1.
“Regolamento
per la costruzione e la classificazione di mezzi subacquei e
di apparecchi o impianti per il lavoro subacqueo” emesso dal
Registro Italiano Navale (RINA) il Dic. 1 , 1993.
2.
“Raccomandazioni del gruppo di lavoro per le attività
subacquee iperbariche” ENI HSE/S 03/03. Luglio 10, 2003.
3.
“Consensus Standards for Commercial Diving Operations”
Fifth ed. 2004. ADC International (Association of Diving
Contractors International), inclusivo di operazioni DP.
4.
“Mobile / portable surface supplied systems”
IMCA(International Marine Contractors Association) D 015, May
1998
5.
“The initial and periodic examination, testing and
certification of diving plant and equipment” AODC (Association
of Offshore Diving Contractors) doc. 056 (ora IMCA D 018),
February 1999.
6.
"Diving Equipment Systems Inspection Guidance Note for
Surface Orientated Diving Systems (Air) IMCA D 023 February
2000.
7.
"Diving Equipment Systems Inspection Guidance Note for
Saturation Diving Systems (Bell)"
IMCA D 024 March 2001
8.
“Code of Safety for DIVING SYSTEMS” International
Maritime Organization. London, 1997.
9.
NORSOK UI00
Quanto sta succedendo per gli impianti di immersione accade
anche per i singoli operatori subacquei. Si è verificata una
crescente richiesta di personale qualificato al punto che la
domanda ha superato l’offerta e che le aree “calde”
evidenziate per le richieste degli impianti e dei sistemi di
immersione stanno assorbendo tutto il personale disponibile
nel settore e ne assorbirebbero anche altro. La situazione,
analoga a quella degli impianti, è che la domanda di personale
subacqueo, elevata in termini quantitativi porta a
sottovalutare in molti casi gli aspetti qualitativi e di
competenza certificata che si traducono, tutto sommato, in
efficienza esecutiva e in sicurezza. Questo si manifesta a
tutti i livelli (operatori subacquei di basso e alto fondale,
tecnici di saturazione, tecnici di sistema, supervisori di
basso e alto fondale, specialisti della sicurezza, tecnici e
piloti di ROV) e anche in quest’area è da tenere presente la
esistenza di linee guida, regolamenti, codici di buona pratica
che, nelle diverse aree di lavoro, fissano i requisiti minimi
di formazione, di certificazione e di competenza richiesti per
le diverse figure professionali:
1.
“International
Diver Certification Standards & Procedures“ IDSA
(International Diving Schools Association). Rev. 2 / 2002 and
following issues /revisions.
2.
“Raccomandazioni del gruppo di lavoro per le attività
subacquee iperbariche” ENI HSE/S 03/03. Luglio 10, 2003.
3.
“Training and certification schemes for OTS (Commercial
Divers), OSS (Scientific Divers), Technicians and Supervisors
of diving and hyperbaric operations” [FF 16] IDSA. Rev. 4 /
2004 e successive revisioni.
4.
Consensus Standards for Commercial Diving Operations”
Fifth ed. 2004 ADC International (Association of Diving
Contractors International), comprensivo di operazioni in DP (Posizionamento
Dinamico).
5.
“Diving operations at work regulations 1997” e relativi ACOPs
. HSE UK
La previsione, che i
fatti correnti e la situazione nazionale e mondiale mostrano
nella loro tendenza evolutiva, è che per il prossimo triennio
si manterrà una situazione di carenza di operatori subacquei
qualificati e competenti nel settore dell’immersione
industriale e che per questo periodo e forse per un ulteriore
periodo a seguire l’inserimento professionale da parte di chi
ha una formazione adeguata (formal training), una
certificazione riconosciuta (aknowledged certification) e una
competenza assodata (assessed competence) non dovrebbe
presentare problemi.
Il DM
13.Gennaio.1979 dell’allora Ministro della Marina Mercantile
istituì la figura del “sommozzatore in servizio locale”
per affiancarla, differenziandola adeguatamente,
alla figura del “palombaro in servizio locale” già
istituita dal Codice della Navigazione (articoli 114 e 116)
approvato con Regio Decreto n. 327 del 30.03.1942 e dal
relativo regolamento di esecuzione (articoli 204 e seguenti)
approvato con DPR n. 328 del 15.02.1952. Il Regolamento di
esecuzione del Codice della Navigazione Marittima all’articolo
204 specifica la attività dei palombari in servzio locale e le
caratteristiche delle imbarcazioni di appoggio e delle
attrezzature di supporto (ad esempio pompe e compressori), che
devono avere certificazione RINA. All’articolo 205 viene
istituito e specificato il registro dei palombari in servizio
locale e vengono definiti i requisiti per l’iscrizione allo
stesso. In particolare, al punto 6 del primo comma, viene
posto come ultimo requisito: “avere effettuato un anno di
navigazione in servizio di coperta o avere prestato per lo
stesso periodo, servizio nella Marina Militare in qualità di
palombaro”.
Se ne desume che
ancora oggi chi è dotato di libretto di navigazione e può
documentare un anno di imbarco in servizio di coperta, magari
a bordo di un peschereccio o di un mezzo navale minore, può
richiedere e ottenere l’iscrizione al registro dei palombari
in servizio locale pur non possedendo alcuna attestazione o
certificazione di formazione professionale specifica. E’
chiaramente una situazione di carenza legislativa e normativa
generata da una vacatio legis che, all’epoca, mirava a
consentire la formazione e l’inserimento professionale come
palombaro a quanti, pur non provenendo dalla Marina Militare,
avevano seguito un effettivo e adeguato processo pratico di
addestramento al seguito di qualche palombaro esperto, unica
via in assenza di scuole riconosciute per palombari civili o
commerciali.
La figura del “sommozzatore
in servizio locale” istituita e definita dal DM 13 Gennaio
1979, integrato dal DM 31 Marzo 1981 e modificato con DM 02
Febbraio 1982, appare invece subito vincolata dal presupposto
di una certificazione che ne attesti la formazione specifica
attuata secondo le modalità previste dall’art. 05 della legge
n. 845 del 21 Dicembre 1978 e dalle relative leggi regionali
di attuazione. La integrazione del DM 31 Marzo 1981 e la
modifica del DM 02 Febbraio 1982 risultano introdotte allo
scopo di contemperare i requisiti formativi e certificativi di
questa figura con il quadro internazionale e comunitario (q.v.
art 48, § 2 del trattato CEE e art. 1, § 2 del Regolamento CEE
/ 16, 12 / 1968), rendendo anche accessibile l’iscrizione ai
cittadini di stati comunitari dotati di una certificazione di
formazione professionale del paese di origine.
Appare però anche
chiaro che la qualifica di “sommozzatore in servizio locale”
non è una certificazione professionale, ma piuttosto una
concessione o licenza che lo autorizza a operare nei “servizi
portuali” (q.v. art. 1) “entro l’ambito del porto e nelle sue
adiacenze” (q.v. art. 2). La certificazione professionale è
un presupposto che deve essere posseduto dall’aspirante per
accedere alla iscrizione al registro, come è sottolineato
chiaramente dal DM 02 Febbraio 1982 che impone il “possesso di
un titolo riconosciuto idoneo per l’espletamento della
attività sommozzatoria professionale nell’ambito dei porti”.
Poiché i porti hanno
acque normalmente di batimetria limitata e contenuta e
comunque ben inferiore alla profondità di demarcazione tra
basso (bf < 50 m.) e alto (af > 50 m.) fondale è intuitivo e
implicito che per la iscrizione al registro risulta
sufficiente una qualifica formativa professionale di
sommozzatore (OSS) o di operatore subacqueo (OTS.bf) di basso
fondale rispettivamente abilitato a immergersi con sistemi ad
aria compressa fra 0 e 30 metri o fra 0 e 50 metri di
profondità.
Tipicamente, inoltre,
il tipo di attività espletata dal “sommozzatore in servizio
locale” e per la quale è richiesta la coesistenza di
certificazione adeguata e di competenze specifiche, è una
attività configurabile come attività subacquea costiera (inshore
diving), ben diversa dalla attività subacquea industriale in
altura (offshore diving), tanto per le profondità
raggiunte quanto per il quadro meteomarino e ambientale (mezzi
navali di appoggio, attrezzature, tecniche di intervento) nel
quale si deve operare.
Aggiuntivamente si
deve oggi considerare che le qualifiche e le certificazioni
professionali e industriali IDSA e di altre organizzazioni
internazionali (e.g. AODC, ADC international, IMCA) non
accettano la equivalenza degli attestati di formazione
subacquea militare (giudicati invece sufficienti e validi per
la iscrizione al registro dei sommozzatori in servizio locale,
DM 13.01.1979) per i quali impongono una formazione
integrativa e aggiuntiva che comprenda gli argomenti e gli
aspetti tipici e caratteristici dell’intervento industriale in
altura.
HSE UK (Health and Safety Executive del Regno
Unito) da non confondersi con i vari dipartimenti e servizi
HSE (Health Safety Environment) che gestiscono gli aspetti di
sicurezza presso le grosse aziende ha preso il posto del DOE (Department
of Energy) che alla fine degli anni "70 codificò i criteri
formativi e certificativi degli operatori subacquei
nell'industria. Fino al 1997 esistevano quattro livelli di
certificati: Part I (basso fondale fino a 50 metri),
Part II (alto fondale con miscele e campana chiusa),
Part III (basso fondale in aree costiere dove non è
richiesta DDC sul luogo di lavoro), Part IV
(autorespiratore autonomo tipo ARA).
Dal 1997 sono state introdotte le qualifiche basate sui moduli
certificativi (UNITS) : UNIT A - HSE Surface Supplied (ombelicale
dalla superficie) - assessed to 50 m, UNIT B - HSE
SCUBA - assessed to 30m but can dive to 50m., UNIT C -
HSE Closed Bell - assessed to dive from a closed bell (100m
during assessment), UNIT D - HSE Surface Supplied (TopUp)
- assessed to use hot water suits, open bell (wet bell), and
understand the hazards of diving from Dynamic Positioned (DP)
vessels.
Le combinazioni dei diversi moduli sono in genere Units A + B + D,
oppure Units A + B. Queste qualifiche consentono la
iscrizione al registro dei sommozzatori in servizio locale (q.v.
DM 13 Gennaio 1979), ma sono valide (q.v. art. 3 § 5 del DM
citato) solo per i cittadini di quel paese (UK). E' una
assurdità dal punto di vista concettuale e pratico, ma il
decreto stabilisce che " ...omissis... per i cittadini di
altri paesi membri della Comunità Economica Europea è
considerato abilitante all'iscrizione anche il possesso di un
titolo riconosciuto idoneo dalla legislazione del paese di
origine per l'espletamento della attività sommozzatoria
nell'ambito dei porti ......omissis.....". |