LEONARDO DA VINCI – APPARATI SUBACQUEI
Parlare di
iconografia subacquea senza citare Leonardo da Vinci è
veramente difficile anche se ovviamente il Codice Atlantico d
il Codice Arundel (conservato presso la British Library), che
raccolgono i suoi manoscritti dal 1478, quando aveva 26 anni,
alla morte avvenuta nel 1519, non sono certo disponibili in
originale per i collezionisti ed appassionati sub. Ma è
importante ricordare e correttamente inquadrare il lavoro del
grande genio nel campo delle conoscenze subacquee del suo
tempo con riferimento alle attività, a lui certamente note,
degli ingegneri senesi che lo hanno preceduto, come Giacomo
Mariano, detto il Taccola, che nel suo manoscritto “de
machinis” del 1450, conservato alla Marciana di Venezia,
raffigura, senza spiegazioni, un primitivo apparato da
immersione ad evidenziare che nel quattrocento l’attività sub
era conosciuta e praticata. Lo studioso Mario Baratta nel suo
libro intitolato “curiosità Vinciane” delinea chiaramente la
posizione di Leonardo circa gli studi su tale argomento. Studi
e realizzazioni subacquee che il grande genio in una lettera a
Ludovico il Moro dichiara di aver realizzato e di essere
pronto a dimostrare, ma che non intende divulgare perché
troppo pericolosi e forieri di disgrazie per l’umanità,
specialmente quegli apparati autonomi che non si evidenziano
in superficie. Ecco perché i riferimenti al lavoro di Leonardo
rintracciabili nei Codici sono vaghi e delineati con un certo
dettaglio solo in alcuni casi di apparati superficiali, come
ad esempio il respiratore raffigurato nel disegno, ripreso dal
Codice Arundel, che è dotato di valvole di mandata ed uscita
dell’aria. Lo scafandro autonomo è vagamente delineato in vari
disegni del Codice Atlantico evidenziando una riserva d’aria,
forse pressurizzata, collegato a un apparato di respirazione
come si evince nella nostra figura,
mentre in altri schizzi descrive un vero e proprio
vestito da palombaro capace col carico e scarico dell’aria di
cambiare assetto in quota fino a permettere la risalita in
superficie. Leonardo oltre a menzionare la dovuta piombatura
ottenuta con sacchetti di sabbia si dilunga un questo caso in
curiosi dettagli indicando soluzioni tecniche per risolvere le
necessità fisiologiche dell’operatore subacqueo sottoposto a
lunghi periodi di immersione. Ma in generale gli appunti di
Leonardo sono pieni di misteriosa segretezza circa gli
apparati subacquei e confermano l’opinione di molti studiosi
circa la sua visione tipicamente militare di tali mezzi, con
implicita pericolosità alla loro divulgazione. Quando Leonardo
cominciò ad interessarsi a mandare uomini sott’acqua, viveva a
Venezia ed era motivato dalla guerra con la Turchia. La flotta
Turca aveva bloccato la laguna veneziana e Leonardo sognava
che per i soldati sarebbe stato possibile camminare sul fondo
del mare ed affondare con trapani a mano le navi turche. Il
vestito è fatto di pelle di maiale con un tubo molto lungo
attaccato ad un galleggiante. Fu scelta la pelle di maiale per
le sue proprietà isolanti e di lavorabilità.
Per accrescere tali proprietà la
pelle veniva trattata con olio di pesce. Il tubo era fatto di
bambù, legate insieme con pelle di maiale e corda e rinforzato
con spirali di metallo. Questo è un particolare interessante
perché indica che Leonardo aveva compreso il concetto di
pressione in acqua ed aveva costruito il tubo in modo da
prevenire il cedimento sott’acqua, aveva previsto un tubo
diviso in due un lato per inspirare e l’altro per espirare.
Anche il cappuccio era fatto di pelle con lenti oculari. Come
zavorra venivano attaccati alle spalle due sacchi di sabbia,
Prima della
sua epoca si era pensato che Alessandro Magno fosse disceso
sul fondo del mare in una campana subacquea, ma le prime
notizie dell’uomo che sta sott’acqua sono probabilmente più
fantascienza che realtà.
CAMPANA
INDIVIDUALE DI GUGLIELMO DI LORENA (1531)
L’immagine
rappresenta la ricostruzione ottocentesca fatta dall’ing.
Vittorio Malfatti della campana individuale inventata da
Guglielmo di Lorena nel 1531, così come è stata descritta
dall’architetto Francesco De Marchi nella sua “Architettura
Militare” pubblicata a Brescia nel 1599.
Il De Marchi
la utilizzò nel 1535 insieme allo stesso Lorena in uno dei
principali tentativi di recupero delle navi romane affondate
nel lago di Nemi, da lui erroneamente attribuite all’epoca
dell’Imperatore Traiano ma che ricerche più recenti datano al
periodo di Caligola. La campana è realizzata in legno di
rovere rinforzato da cerchi di ferro, le mani sono lasciate
libere così come parte delle braccia dell’operatore subacqueo
al fine di permettergli l’esecuzione di semplici lavori,
essendo aiutato nella visione da un ampio oblò di cristallo
trasparente posizionato frontalmente. Un’imbracatura
posizionava la campana a mò di casco sulle spalle del
subacqueo, pur essendo sostenuta dal mezzo di superficie, e
permettendo quindi in caso di necessità la fuoriuscita
dell’operatore stesso.
PAPPAFICO DA
IMMERSIONE
Nel 1500-1600
era chiamato “pappafico” un cappuccio di panno, con un vetro,
che veniva utilizzato specialmente per i lunghi viaggi a
cavallo. Dunque il pappafico da immersione non è altro che il
pappafico da cavallo al quale è stato aggiunto un tubo per
prendere aria dalla superficie. E’ indubbiamente uno dei
primissimi sistemi cui l’uomo abbia pensato per potersi
immergere.
Vari disegni
sono stati realizzati sullo stesso tipo di attrezzatura: di
Mariano di Iacopo, detto “Taccola” (1383-1458) del 1450, di
Leonardo a Vinci del 1500 circa e di Vegezio nel 1553 e poi
ancora altri due : uno che appare nel libro intitolato “Vallo”
del MDL ed uno che appare sul libro “Artillerie” di Diego
Ufano del 1621. Il pappafico del libro Vallo, fatto come tutti
gli altri in pelle di vachetta o corame conciato ben
ingrassati, mostra il tubo dell’aria posizionato davanti alla
bocca. Il tubo dell’aria è composto da pezzi di canne unite
tra loro con pelle, mentre un sughero è posto su ogni pezzo di
canne unite tra loro con pelle, mentre un sughero è posto su
ogni pezzo di canna per sostenere il tubo verticale fino alla
superficie. Il tutto per renderlo stagno alla penetrazione
dell’acqua dal basso. |