CEDIFOP news n. 83 - Maggio 2013 - articolo 146
La professione dei “Commercial Diver” nella legislazione Italiana
(di Manos Kouvakis)
Ritorniamo a parlare di legislazione, cercando di esaminare la situazione Italiana confrontandola con quella internazionale.
Facendo un rapido riepilogo storico sulla attuale situazione legislativa italiana, vediamo che oltre i tre decreti ministeriali, del 1979,1981 e 1982, attualmente vigenti, che prevedono l’iscrizione al Registro Sommozzatori del Ministero dei Trasporti, presso una Capitaneria di Porto (Decreto Ministeriale del 13 gennaio 1979 “Istituzione della categoria dei sommozzatori in servizio locale”) c’è un vuoto legislativo da più di 30 anni. Questo a differenza degli altri Stati dell'Unione Europea, tanto da poter affermare che in Italia non c’è una disciplina professionale che identifichi e tuteli la categoria degli operatori subacquei al servizio dell’industria.
Le uniche azioni degne di nota in questo trentennio di sostanziale assenza legislativa, sono l’ordinanza n. 77 del 1992 della Capitaneria di Porto di Ravenna, la cui importanza sta nel fatto che introduce per la prima volta in Italia nozioni che trovano già applicazione nel resto del mondo, importantissime per la gestione in sicurezza delle immersioni lavorative subacquee, come la figura dello stand-by, l’importanza della comunicazione con la superficie, l’uso di caschi che permettono contemporaneamente la respirazione autonoma e la comunicazione, e, l’applicazione di queste regole non solo all’interno dell’area portuale ma su tutto il territorio di competenza della capitaneria ecc., e la sentenza del Tar del Lazio del 2006, con la quale è decaduta la limitazione dei 35 anni per l’iscrizione al registro.
Il risultato è che tale lacuna legislativa è la causa maggiore di una serie di incidenti, spesso mortali, che avvengono annualmente sul nostro territorio, incidenti che sarebbero sicuramente diminuiti con l’esistenza di una legislazione che fissa regole chiare a partire dalla formazione degli operatori e il loro corretto inquadramento.
Negli ultimi anni, sempre di più spesso, diverse Capitanerie di Porto sul territorio nazionale, hanno implicitamente espresso il loro disagio per il vuoto legislativo, emanando ordinanze specifiche che hanno un effetto limitato, essendo applicabili solo sul territorio di competenza di ciascuna capitaneria anche se dal punto di vista della sicurezza sono apprezzabili, ma proprio questo frazionamento territoriale penalizza le stesse ditte che, per mancanza di una uguale legislazione sul territorio nazionale, sono surclassate dalla concorrenza sleale di chi opera senza gli stessi criteri di sicurezza a qualche chilometro di distanza.
A partire dal 1997, nelle passate legislature, sono state presentate ben 8 proposte legislative, fino all’ultima legislatura durante la quale ne sono state presentate ben 3, ma senza giungere all'esame dell'Aula, probabilmente per una serie di errori di impostazione o di poca competenza vista anche l’elevata specificità degli argomenti trattati, poca dimestichezza dimostrata dalla non distinzione della subacquea sportiva da quella del settore industria, dal confondere attività portuali con attività inshore e offshore, concetti che fuori dall’Italia sono delle consolidate realtà.
In questa panoramica c’è da sottolineare che l’UNI nel 2010, per la prima volta, ha presentato la norma UNI 11366 per regolamentare le attività subacquee e iperbariche in offshore, alla quale ha fatto riferimento il presidente Monti nel Decreto Sviluppo del 2012. La normativa UNI ha cercato di definire una base per i lavori in offshore, attività che in Italia non è stata mai regolamentata.
In pratica, non esistendo in Italia una categoria professionale per i lavori in offshore, l'imprenditore italiano che voglia assumere operatori qualificati deve rivolgersi a lavoratori stranieri dotati di brevetto «omologato» con costi, rispetto alla realtà economica italiana, superiori del 100 o 200 per cento, con effetti sulla competitività economica facilmente valutabili, oppure utilizzare chi con una preparazione nel settore sportivo fa attività nelle acque interne, cioè fiumi laghi ecc. dove la percentuale degli incidenti registrati è ancora maggiore.
Le stesse ditte che operano in offshore a volte, per mancanza di regole, assumono personale senza la giusta preparazione, spesso applicando criteri basati sul risparmio, a discapito della sicurezza e della professionalità degli operatori, assumendoli con titoli inadeguati per aumentare l’utile a discapito della sicurezza nel cantiere, spesso tali titoli inadeguati sono conferiti da scuole di serie B all’estero, che rilasciano facili certificazioni di attività formative mai fatte. Ma anche nel settore inshore e in aree portuali le stesse Capitanerie di Porto presentano diverse lacune, sia nei controlli, sia nelle iscrizioni al Registro Sommozzatori, dove, a volte, i titoli ammessi sono inadeguati per l’attività lavorativa prevista in termini di competenze (ISTAT e ISFOL) del lavoratore, aumentando la confusione nel settore a discapito sia della sicurezza ma anche della competenza, della professionalità e dell’immagine che il commercial diver Italiano ha in ambito internazionale.
La subacquea industriale ha bisogno di una legislazione che includa tutto il territorio nazionale, emanando regole e criteri specifici per i vari livelli, ambito portuale, ambito inshore e offshore.
Bisogna tenere conto che il mondo del lavoro e la situazione territoriale, nel quale può operare la figura professionale del sommozzatore industriale, vanno oltre i limiti regionali e nazionali e quindi, per sostenere la mobilità professionale delle persone, i percorsi formativi sviluppati nel settore devono seguire il percorso indicato dalle regole della formazione nel settore industria. Qui, mentre in Italia troviamo l’ISFOL che declina le competenze necessarie dell’operatore che opera in ambito portuale per poter adottare un piano didattico per una formazione adeguata, in ambito offshore questa formazione deve essere organizzata in coerenza con gli standard che adottano le ditte che operano nel settore, standard definiti dall’IMCA (International Marine Contractors Association) in coerenza con quelli internazionali di: HSE-UK (Health & Safety Executive) validi nel Regno Unito; ACDE (Association of Commercial Diving Educators) validi negli USA; ADAS (Australian Diver Acceditation Scheme) in Australia; ARAMCO (Arabia Saudita) per i Paesi Arabi, utilizzando gli standard didattici che fanno riferimento all’unica didattica, a livello internazionale, nel settore della subacquea industriale IDSA (International Diving Schools Association), che a livello mondiale ha elaborato regole per la formazione nel settore inshore e offshore in base ad una più che quarantennale esperienza, dovuta alle scuole che vi aderiscono a livello mondiale, che possono garantire una maggiore spendibilità della qualifica di Sommozzatore Italiano a livello internazionale, riportando la categoria al livello che le spetta per la storia e l’importanza di chi ci lavora.
La stessa iscrizione al registro sommozzatori dovrà essere divisa in più categorie, in base alla formazione e alle competenze dell’individuo iscritto, cosi come oggi avviene in tutto il mondo, dove ci sono regole per la sicurezza e la professionalità di questo settore. Anche l’ENI spa sin dal 2008, ha adottato queste regole, spesso però non condivise dalle aziende, regole che dovrebbero essere consolidate da una opportuna futura proposta legislativa.
Una certa facilità di accesso, come quella che si registra ancora oggi, a quella che risulta essere la porta d’ingresso, cioè l’iscrizione nel registro sommozzatori in servizio locale (attività in ambito portuale), peraltro legittimata dalla normativa in vigore, ha gravi implicazioni e penalizza tutto il settore, ma anche l’incolumità stessa degli operatori che si trovano ad affrontare attività lavorative senza la dovuta esperienza e conoscenza.
L’unica figura professionale subacquea riconosciuta dalla normativa in vigore è quella degli OTS (Operatori Tecnici Subacquei) iscritti nei registri delle Capitanerie di Porto, la cui attività ha una limitazione territoriale ben definita, mentre la gran parte delle operazioni subacquee si svolge al di là e al di fuori dell’ambito portuale, senza che sia prevista alcuna normativa che regoli e tuteli la figura professionale degli operatori di questo settore.
Quanto mai opportuno e urgente è quindi un ordinamento del settore che parta dalla formazione, con la caratterizzazione e il controllo delle scuole e dei centri di formazione, l’allineamento alle normative europee delle qualifiche e dei brevetti degli operatori subacquei giungendo fino al controllo continuo e capillare delle figure professionali durante lo svolgimento delle attività subacquee.
Ecco i motivi per cui bisogna eliminare questo vuoto legislativo e dare finalmente una legislazione seria e competente agli operatori del settore, sia alle aziende che vi operano, sia a chi materialmente poi scende in mare per lavorare e a chi dovrà vigilare e proteggere gli operatori del settore.
Arriviamo cosi ad oggi, con l’auspicio che si presenti in tempi brevi una nuova proposta in parlamento, affinché ci siano i tempi tecnici per un iter abbastanza lungo, ma che garantisce in uno stato democratico, trasparenza e sovranità del popolo prima che un testo possa diventare legge, perché tutti possano, tramite i loro rappresentati in Parlamento, esprimere la loro opinione, durante i lunghi esami fra le varie commissioni parlamentari o in aula.
Questa volta, ritengo che sia il momento giusto per gettare basi solide, affinché nei prossimi anni ci sia una svolta con una legge nuova, visto che ormai anche i legislatori hanno preso coscienza del problema e che si è cominciato finalmente a lavorare ad una soluzione definitiva ed adeguata ai nostri tempi.
In chiusura, vorrei fare una sola osservazione: attualmente in giro ci sono diverse voci che parlano di fantomatiche leggi approvate, o riportano pezzi dell’ultima proposta legislativa, non più valida perchè è cambiata la legislatura, sperando di ottenere popolarità o attenzione, per obbiettivi oscuri non meglio specificati, a volte per vanità, superficialità, stupidità o semplicemente ancora per mancanza di professionalità, preparazione o semplice incompetenza ed ignoranza, che purtroppo danneggia, perché porta su strade sbagliate sia coloro che vorrebbero intraprendere questa professione sia coloro che ci lavorano, penalizzando cosi un intero settore che di problemi ne ha già abbastanza.