Siamo
arrivati ormai al bivio, il decreto legislativo del 13 gennaio
1979 che ha regolarizzato fino ad oggi la categoria dei
sommozzatori in servizio locale, è ormai poco incisivo per poter
soddisfare i bisogni di un settore abbandonato da anni a se stesso
che denuncia problemi sempre maggiori.
Nell'ultimo decennio sei disegni di legge, presentati in
Parlamento, durante diverse legislature, (Battaglia 1997, Arrighi
2001, Martini 2001, Arrighi e Martini 2004, Bellotti 2006, Fabbri
2007), e mai portati a termine, testimoniano l'interesse del
legislatore per il settore ma, a mio parere, quelle proposte
legislative, comunque non sarebbero state incisive nel dare una
descrizione reale e la relativa soluzione normativa agli
innumerevoli problemi di cui soffre il settore.
Non sono bastate valide iniziative locali, (Ordinanza Capitaneria
di Porto di Ravenna 1992), o iniziative regionali (Emilia Romagna
2007), nel cercare di “codificare” iter operativi e formativi per
la definizione di questa figura professionale, o interrogazioni a
risposta scritta presentate in Parlamento (Evangelisti - gennaio
2008) per smuovere il torbido delle acquee dove appare sommersa la
legislazione relativa ai sommozzatori. Ma la tenacia nel
continuare a voler cambiare, pur trovando sempre vicoli chiusi,
la dice lunga sul desiderio, da parte di molti, di trovare anche
in Italia la via maestra.
Anche per questo, in uno degli ultimi disegni di legge presentati,
il legislatore scrive nella relazione introduttiva:
“A
differenza dagli altri Stati dell'Unione Europea, l'Italia non ha
una disciplina professionale che identifichi e tuteli la categoria
degli operatori subacquei e iperbarici. In modo improprio ciascun
segmento dell'attività industriale e turistica (edilizia,
metalmeccanica, petrolchimica, didattico - turistiche e centri
diving) utilizza, talora senza una seria formazione, operatori
al di sotto del «pelo dell'acqua», inquadrandoli contrattualmente
nella propria disciplina e categoria. …omissis…. In pratica, non
esistendo in Italia una categoria professionale, l'imprenditore
italiano che voglia assumere operatori qualificati deve rivolgersi
a lavoratori stranieri dotati di brevetto «omologato» con costi,
rispetto alla realtà economica italiana, superiori del 100 o 200
per cento, con effetti sulla competitività economica facilmente
valutabili. …omissis… E dire che storicamente l'Italia ha
prodotto subacquei di notevole levatura, attraverso la marina
militare o l'iniziativa, lodevole ma indisciplinata, delle aziende
che operano nel settore. L'Unione Europea detta normative ben
precise che regolano l'attività professionale subacquea e che gli
altri Stati membri hanno adottato ed applicato già da tempo; solo
l'Italia risulta ancora inadempiente. “
Addirittura l’On. F. Evangelisti, nella sua interrogazione a
risposta scritta, del gennaio 2008, parla di “distrazione del
legislatore” quando si riferisce alla scarna legislazione attuale.
Tutte belle parole e buone intenzioni, che non risolvono un
problema grave e cronico nel settore della subacquea industriale.
Sono convinto, che urge una legge che regolamenti questo settore
della subacquea industriale, senza voler elaborare una legge
"tuttologa" sulla subacquea, infatti, ritengo che non occorra
intervenire sulla subacquea sportiva ricreativa amatoriale e
dilettantistica, dove, a mio parere, sono le regioni gli enti più
interessati alla presentazione di regolamenti rispondenti alle
caratteristiche e problematiche territoriali (coste, acque
interne, ecc.), come d'altra parte avviene attualmente in quasi
tutte le regioni italiane.
La subacquea industriale invece, ha bisogno di una legislazione
che includa tutto il territorio nazionale, nell'ambito delle acque
marittime territoriali, che comprendono le acque portuali, quelle
costiere e quelle di altura situate comunque entro il limite (20
miglia nautiche) di interesse economico nazionale e di quelle
interne che comprendono le acque dei bacini lacustri naturali ed
artificiali, le acque fluviali e le acque ipogee, tenuto conto che
l'operatore subacqueo industriale si proietta, come ambito
lavorativo, anche nel più vasto ambito internazionale, infatti la
maggioranza degli operatori che iniziano ad operare in ambito
locale (dopo l'iscrizione al Registro Sommozzatori in servizio
locale presso una Capitaneria di Porto) ben presto passano a
lavorare con diving industriali in off-shore.
Bisogna tenere conto che il mondo del lavoro e il contesto
territoriale nel quale può operare la figura professionale del
sommozzatore industriale, va oltre i limiti regionali e nazionali
e quindi, per sostenere la mobilità professionale delle persone, i
percorsi formativi sviluppati nel settore devono seguire il
percorso indicato dalle regole della formazione nel settore
industria. Questi percorsi, per essere validi, oltre che nel
territorio Italiano anche in tutto l'ambito operativo di un
sommozzatore professionista, devono adottare standard definiti in
coerenza con gli standard internazionali IMCA, IDSA o AODC ecc.,
che possono garantire una maggiore spendibilità della qualifica di
Sommozzatore Italiano a livello internazionale. Nessun altro
percorso formativo dovrebbe abilitare all'iscrizione nel Registro
Sommozzatori.
Non a caso, il prof. Garilli, docente ordinario di Diritto del
Lavoro all’Università di Palermo, in una relazione sull’argomento,
del maggio 2008, in riferimento al problema dell’iscrizione dei
sommozzatori presso una Capitaneria di Porto cosi scrive: ”Invero,
laddove si consentisse ad un lavoratore di rendere la propria
prestazione nel settore metalmeccanico - per effetto della
iscrizione nel Registro dei Sommozzatori ottenuta, ad esempio, a
seguito di una abilitazione all'attività di archeologia subacquea
- lo stesso sarebbe certamente esposto a gravi rischi dai quali
non potrebbe tutelarsi a causa di incolpevoli lacune formative”.
Uno scarso “controllo” a quella che risulta essere la porta
d’ingresso, cioè l’iscrizione al Registro dei Sommozzatori, ha
quindi gravi implicazioni e penalizza tutto il settore se
l'iscrizione avviene senza prestare la necessaria attenzione alle
diverse tipologie di qualifiche professionali (acquisite a seguito
di corsi di formazione professionale) non tutte ricadenti nel
settore industria, e quindi, contestualmente non abilitanti a un
lavoro subacqueo di tipo tecnico/industriale/metalmeccanico.
Molte Capitanerie di Porto, che devono da un lato "guardare" e
salvaguardare la regolarità delle iscrizioni, per motivi di
"ambiguità" nella formulazione della legislazione attuale, hanno
dato luogo all'iscrizione nel Registro Sommozzatori di persone
volenterose ma con una formazione non adeguata, il che ha forse
concorso nel determinare parecchi incidenti sul lavoro anche
mortali (vedi: Capri 2004 - Ravenna 2005 ), d’altra parte anche le
Capitanerie stesse, per i limiti territoriali, definiti da una
legge ormai molto "datata" sono spesso impossibilitate ad
intervenire con azioni decisive a salvaguardare l’incolumità degli
operatori regolari o degli “abusivi”, questi ultimi, subacquei che
si accingono in attività lavorative per le quali non hanno
conseguito la necessaria formazione e danneggiano il settore con
interventi raffazzonati, non controllati e quasi totalmente in
assenza di regole operative, di prevenzione e sicurezza, ormai
affermate e suffragate in ambito internazionale.
Infatti, i subacquei "irregolari" ormai popolano tutte le aree
lavorative dove opera in inshore il sommozzatore in servizio
locale, impedendo una regolare crescita di chi ha cercato di
seguire una strada in salita per lavorare in ottemperanza alla
scarna legislazione esistente.
Abusivi "regolari", invece, potremmo definire le aziende estere
che approfittando della mancanza di una adeguata legislazione sul
territorio italiano, riescono ad ottenere l'assegnazione di
lavori, facendo delle offerte al ribasso, in bassa sicurezza, che
in altre parti del mondo non avrebbero potuto essere autorizzate,
visto la quasi totale assenza di regole e normative adeguate in
Italia.
Ad esempio: con tutte le aziende di lavori subacquei che ci sono
in Italia, la bonifica sulla Haven (Genova) sono venuti a farla
gli olandesi; visto che il committente ha badato "solo"
all'offerta degli olandesi - di molto inferiore a quelle fatte
dalle aziende italiane - essi hanno potuto operare in bassa
sicurezza con il risultato di registrare ben due incidenti, per
fortuna non molto gravi, ma certamente evitabili se la
legislazione italiana fosse stata almeno similare a quella di
tutti gli altri Stati europei, dove si possono fare lavori del
genere solo dopo aver ottemperato a misure di prevenzione e
sicurezza basilari per qualsivoglia intervento subacqueo.
Lamentele arrivano anche dalle aziende italiane che lavorano con
la ENI e che hanno problemi nell'avere assegnati appalti di
lavoro con società quali la BP, Shell o altre compagnie
petrolifere, a causa della mancata legislazione che definisce in
Italia la figura dell'OTS, a meno che non assicurino fra il loro
personale operatori stranieri (non italiani) assunti con la
qualifica che le altre nazioni hanno debitamente ratificato nel
loro sistema legislativo.
Ecco i motivi per cui bisogna eliminare questo vuoto legislativo e
dare finalmente una legislazione seria e competente sia agli
operatori del settore, sia alle aziende che in esso operano,
rispondendo alle esigenze di chi materialmente scende in mare per
lavorare e di chi dovrà vigilare e proteggere gli operatori del
settore (Capitanerie, Guardia Costiera, ecc.).
Concludo sperando, a questo punto che il prossimo disegno
legislativo, possa completare il percorso nei dedali delle
commissioni parlamentari e possa partorire in tempo utile quello
che la categoria aspetta ormai da decenni: norme aggiornate,
valide in ambito nazionale ed internazionale, che tutelino il
sommozzatore italiano in ambito nazionale e lo equiparino agli
altri operatori subacquei di nazionalità estera, dandogli il
relativo riconoscimento che in atto manca totalmente all'operatore
subacqueo italiano.